In un recente elaborato, Weerdmeester e colleghi hanno posto attenzione sull’attuale stato dell’impiego della tecnica di biofeedback come trattamento dell’ansia, proponendo un modello teorico integrativo.
Gli autori hanno proposto inoltre delle linee guida per future ricerche in questo ambito, linee guida che trattano i meccanismi delle emergenti tecnologie interattive, in virtù del recente incremento di interesse nell’utilizzo di tecnologie di auto-monitoraggio nel campo della salute mentale.
In cosa consiste la tecnica del biofeedback?
Consiste nella misurazione della propria attività fisiologica e nell’utilizzo di queste informazioni e dei rinforzi -dati ogni qualvolta siano avvenuti tentativi di auto-regolazione- per modificarla e trarne benefici.
Nella pratica del biofeedback si ricorre spesso a tecniche di auto-regolazione simili alla meditazione e alla mindfulness. Come sottolineano gli autori, nonostante sia stata dimostrata l’efficacia del biofeedback come trattamento per una serie di disturbi fisici e mentali, il suo impiego è ancora oggi molto basso come trattamento per l’ansia. Questo a causa di una generica incomprensione dei meccanismi sottostanti il suo funzionamento e a causa di limitazioni pratiche quali i costi elevati, gli apparecchi e il tempo richiesti.
I meccanismi di funzionamento nel biofeedback
L’assunzione principale è che il biofeedback porti ad un incremento nella consapevolezza interocettiva, che a sua volta aiuta a regolare l’attività fisiologica. Tuttavia non è chiaro quanto questo sia adattivo, poiché una elevata consapevolezza interocettiva è correlata proprio ad un aumento dell’ansia e poiché i soggetti socialmente ansiosi spesso interpretano le sensazioni corporee come conferma della loro incapacità a vivere situazioni sociali. Che alti livelli di consapevolezza interna siano adattivi o meno, quindi, dipende da come le sensazioni provate sono interpretate.
HRV Biofeedback e Neurofeedback
Due pratiche di particolare rilevanza per il trattamento dell’ansia e della gestione dello stress sono l’Heart Rate Variability Biofeedback (HRV) e il Neurofeedback.
Lo scopo dell’HRV biofeedback è di creare un equilibrio autonomico migliorando la coerenza cardiaca, e questo viene raggiunto allenando i soggetti ad aumentare l’ampiezza dell’aritmia sinusale respiratoria (RSA); difatti quello che si riscontra nei soggetti ansiosi è una RSA molto bassa.
Il neurofeedback invece fornisce un feedback sulla propria attività cerebrale, e lo scopo è di mantenere il livello di attività entro un certo range. Come riferito dagli autori, i protocolli finora risultati efficaci hanno mirato a un aumento del ritmo alfa e dell’attività theta e all’inibizione delle frequenze beta.
Meccanismi cognitivi sottostanti i processi del biofeedback
Gli autori suggeriscono che uno dei meccanismi sottostanti sia il modo in cui noi valutiamo noi stessi e le situazioni che viviamo. Come ci si aspetterebbe, alti livelli di autoefficacia sono correlati ad una buona regolazione emotiva, mentre bassi livelli comportano un’elevata ansia. Inoltre, generalmente chi percepisce di avere minore controllo -su di sé o un evento- esperisce una maggiore ansia.
Sembra quindi che la percezione del controllo durante i paradigmi del biofeedback influenzi il successo del training, e questo spiegherebbe i risultati clinici positivi ottenuti anche in assenza di cambiamenti fisiologici significativi o quando viene dato ad esempio un feedback sbagliato.
Il modello integrativo che viene qui proposto pone rilevanza sia sui cambiamenti che si verificano in tempo reale nelle singole sessioni, sia sui cambiamenti che si verificano come risultato della continua esposizione alla pratica, essenziale perché i cambiamenti vengano automatizzati e interiorizzati.
Eventuali differenze di performance o progressi fatti possono essere attribuite alla diversa mentalità circa la flessibilità delle proprie capacità di auto-regolazione; si è visto infatti che i soggetti con una mentalità di crescita sono più propensi a credere di poter esercitare un controllo sulla propria attività fisiologica attraverso la pratica.
Implicazioni per la ricerca
Per individuare i meccanismi del cambiamento, gli autori suggeriscono di mettere a punto degli studi sperimentali in cui le misure di interesse siano ripetute all’interno e in sessioni multiple di allenamento. Si potrebbe ad esempio programmare sessioni in cui inizialmente i soggetti sentono di non avere controllo sul proprio corpo, per poi incrementare il controllo percepito nel corso del training, e attraverso un’analisi del punto e delle circostanze in cui avvengono questi cambiamenti, impostare dei programmi di training futuri che consentano un’ottimizzazione dei risultati positivi.
Sarebbe interessante anche tracciare delle traiettorie di cambiamento nel corso delle varie sessioni per determinare se ci siano differenze tra i gruppi dovute a specifiche caratteristiche; questo consentirebbe di delineare il profilo del partecipante ideale per il training e di programmare quindi interventi mirati.
Implicazioni per il disegno di nuovi interventi di biofeedback
Sebbene durante il training si possa prendere sempre più coscienza del proprio stato interno, è difficile notare eventuali cambiamenti nella vita quotidiana. Una soluzione può essere l’utilizzo della tecnologia di auto- monitoraggio indossabile, che permette anche di ottenere informazioni sul contesto, senza tralasciare che i resoconti ottenuti possano essere clinicamente utili.
Nel disegnare nuovi interventi di biofeedback per la riduzione dell’ansia, l’obiettivo è promuovere una equilibrata consapevolezza interna, quindi impostando il training in modo che gli elementi nell’ambiente offrano l’opportunità di disimpegnarsi per brevi periodi dall’attività fisiologica. Per questo scopo sono stati elaborati alcuni video game come “Nevermind”, che usa cambiamenti atmosferici per riflettere il livello di eccitazione del giocatore, attraverso la rappresentazione di un ambiente spettrale che diventa più o meno inquietante a seconda di quanto bene il giocatore è in grado di autoregolare la sua eccitazione.
Una cosa è certa, un prerequisito per il cambiamento è un maggiore coinvolgimento dei soggetti, e a questo proposito gli autori sottolineano la necessità di adottare un approccio che sia difatti orientato sull’utente.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7413290/
Ludovica Lops – Psicologa