Le nuove esperienze pongono di fronte ad una situazione nuova o inaspettata, il cervello, come un generale di battaglione, chiama a raccolta le sue truppe (neuroni) per analizzare e gestire la situazione.
Questa mobilitazione generale richiede un maggiore dispendio di energia (motivo per cui imparare qualcosa di nuovo può essere così stancante) e il nostro rilevatore di consumi incorporato si attiva istantaneamente facendoci provare un senso di disagio (talvolta interpretato come paura).
Per contro, tutte le volte che ci affidiamo a schemi preesistenti si utilizzano meno neuroni, il conflitto è minimo o del tutto assente e dentro si prova un senso di familiarità e sicurezza. Questo è il principio di efficienza che è alla base di ciò che comunemente definiamo “zona di confort”, che essendo familiare e prevedibile, molte persone non riescono ad uscirne. Il principio di efficienza spiega anche parzialmente perché le persone tendano a preferire la compagnia di chi la pensa come loro e perché talvolta preferiscano evitare le nuove conoscenze o perché si sentano a disagio in loro compagnia. È assai più semplice e meno dispendioso in termini energetici convivere con gli altri se il livello di conflitto è minimo.
Fare continuamente spazio per incorporare nuovi insiemi di valori nella propria vita sarebbe uno spreco di tempo e energie. Mantenere lo status quo è energicamente efficiente, eppure può anche risultare distruttivo.
La paura può essere utile nel giusto contesto (esempio pericolo di essere investiti da un’auto), il problema sorge nel momento in cui la paura si manifesta in contesti meno appropriati, quando ci si paralizza, oppure quando ci coglie senza alcun motivo apparente. Eppure la maggior parte dei nostri conflitti interiori deriva da un’avversione al cambiamento. Per darci una spiegazione che giustifichi il dissidio interiore, le persone continuano a rivedere nella propria mente le stesse spaventose fantasie.
Ciò fa sì che il cervello continui a produrre le stesse sostanze chimiche che vanno ad alimentare la paura, come quella di parlare in pubblico; in questo caso la minaccia percepita è mentale, non fisica. Nessuno muore per aver parlato ad un gruppo di persone; ciononostante, la paura che si prova è reale e può essere talmente intensa da paralizzare quasi del tutto.
Il problema è che la paura fa male fisicamente ed emotivamente, se non facciamo qualcosa per liberarcene, essa finirà con il minare la salute e la qualità della propria vita. Nell’ottica di vivere felici, non ci curiamo molto del perché si manifesti la paura, a noi interessa sapere come fa una persona a crearla, come vi reagisca e cosa può fare per risolvere la situazione. Indipendentemente dal motivo per cui accade, è chiaro che le persone sono in grado di creare sensazioni negative e di amplificarle al punto da renderle intollerabili.
Questo non è certo un comportamento produttivo e di sicuro non aiuta a vivere una vita migliore nel presente e nel futuro. Eppure se si riuscisse a creare e ad amplificare le paure, questo significa che siamo in grado di generare ed amplificare qualsiasi sensazione e di conseguenza che si può cambiare. Tale abilità va utilizzata secondo le intenzioni che ognuno di noi ha; si può scegliere di trascorrere la vita senza scopo e né direzione, oppure di poter investire il proprio tempo per vivere felici. La paura è un qualcosa di strano e misterioso, non soltanto ciascuno di noi ne fà esperienza in modo diverso, ma ciascuno di noi ha paura di cose completamente diverse.
Ci sono persone che vanno all’aeroporto, salgono su un piccolo aereo privato e quando arrivano a tremila metri di altezza si lanciano nel vuoto e la loro unica arma contro l’inesorabile forza di gravità è un lenzuolo di seta. Ciò che provano è eccitazione, euforia e scariche di adrenalina che fanno desiderare loro di risalire subito sull’aereo e ripetere l’esperienza. Di contro ci sono persone che si riducono a rottami tremolanti al solo pensiero di imbarcarsi su un volo di linea per un viaggio d’affari. Le condizioni sono le stesse, ma le risposte sono enormemente diverse. Il fatto è che nessuna di queste persone risponde alla realtà. Ciascuna di loro ha acquisito dati simili dall’esterno, li ha elaborati sulla base delle proprie personali convinzioni, esperienze e valori, e poi ha costruito una serie di risposte.
Anche se, da un punto di vista fisiologico queste risposte sono simili (battito accelerato, respiro affannoso, stomaco contratto, ecc…), l’interpretazione dell’esperienza differisce da persona a persona. A ciascuna di queste due categorie il perchè della loro reazione genera una simile risposta: “Mi sento così e basta”.
Il valore semantico delle parole differisce fortemente da persona a persona, anche quando entrambi danno per scontato di parlare della stessa cosa.
Questo sostiene la teoria, secondo la quale le parole, e soprattutto i sostantivi come “dolore” e “sensazione” traggono il proprio significato da esperienze precedenti, tutte associate ad uno stesso simbolo. Tali esperienze sono uniche per ciascun individuo.
BIBLIOGRAFIA:
“Resisto dunque sono”. Pietro Trabucchi. Edizioni Corbaccio.
“Oltre i limiti della paura. Superare rapidamente le fobie, le ossessioni e il panico”. Giorgio Nardone. Bur Saggi Rizzoli.
“Vivere oltre le proprie sensazioni. Come controllare le nostre emozioni affinché non siano loro a controllare noi”. Joyce Meyer. Editore Uomini Nuovi.
Dott.ssa Martelli Roberta