La dipendenza affettiva (DA) è uno stato patologico nel quale la relazione di coppia viene vista, e quindi vissuta, come condizione unica, indispensabile e necessaria, per la propria esistenza.
La si può definire la conditio sine qua non al di là della quale non è possibile sopravvivere, diventando così la linfa vitale di cui quotidianamente nutrirsi.
Chi vive questo tipo di dipendenza attribuisce all’altro, oggetto d’amore, un’importanza tale da annullare sé stesso, arrivando a dare ascolto non ai propri bisogni e le proprie necessità. Tutto questo al fine di evitare di quella che possiamo definire la fobia di tali persone, in altre parole: la rottura della relazione.
Le relazioni che vengono instaurate non sono casuali, ma soddisfano il bisogno di avere a tutti i costi un rapporto duale.
L’altro, solitamente, è rappresentato da persona forte e sicura di sé e funge da specchietto per le allodole poiché il dipendente affettivo pensa al brillante futuro di protezione che potrebbe avere con questa persona, che, a sua volta, si lascia coinvolgere in questo tipo di rapporto solo perché ha bisogno di sottomettere qualcuno su cui esercitare la propria superiorità.
Quindi, il bisogno di un’altra esistenza per vivere la propria è ciò che caratterizza il soggetto dipendente affettivo: una persona che, per la mancanza del riconoscimento del suo Sé e per esistere, ha la necessità di utilizzare la volontà e la determinazione di “un Altro” che, a volte, anche non volendo, lo trascina verso un baratro di annullamento corporeo e mentale.
A volte, solo a volte, la dipendenza da qualcosa, o da qualcuno, può essere utile e positiva se è transitoria, temporanea e limitata al superamento di una difficoltà o di un gap di crisi esistenziale; ma, quando permane uno stato di immaturità psichica o non si riesce a fare a meno della funzione “contenitore” dell’oggetto-persona esterno a sé allora, prende forma un problema personale, familiare e sociale che ha bisogno dell’intervento, del sostegno e dell’aiuto di figure professionali.
Ma da dove nasce la dipendenza affettiva?
La necessità di sentirsi “uno” ha origini molto remote, nel grembo materno.
Lì facciamo l’esperienza di sentirci un tutt’uno. Fusi, accuditi, nutriti, contenuti, in simbiosi. Alla nascita creiamo un legame di attaccamento col care-giver (Bowlby), e se tale legame è soddisfacente, il genitore buono sarà interiorizzato (Winnicott) e avremo dentro di noi la presenza calda, amorevole, capace di farci tollerare la frustrazione, l’assenza, il distacco (Klein), il no (Bion).
La dipendenza quindi si alimenta e si nutre del rifiuto, della svalutazione, dell’umiliazione, del dolore: non si tratta di provare piacere nel vivere tali difficoltà, ma di dare corpo al desiderio di essere in grado di cambiare l’altro, di convincerlo del proprio valore, di salvarlo, riuscendo a farsi amare da chi ama solo se stesso.
La Love Addiction sembra una patologia declinata soprattutto al femminile: il 99% dei soggetti dipendenti affettivi è di sesso femminile, con fascia di età variabile dalla post-adolescenza (età dai 20 ai 27) fino all’età adulta delle donne con figli, sia piccoli che grandi. Esistono tuttavia anche casi di Dipendenza Affettiva negli uomini, aventi caratteristiche e manifestazioni comportamentali lievemente diverse.
Nonostante la diversità di età, alcuni specifici elementi accomunano tutte queste donne:
- si tratta di donne fragili;
- bisognose di conferme;
- con una scarsa autostima;
- terrorizzate dal fantasma dell’abbandono;
- tendenti alla iper-responsabilizzazione;
- provenienti senza eccezione da famiglie problematiche (abusi sessuali, maltrattamenti fisici o psicologici, storia di alcolismo, bulimia o altre dipendenze nei genitori) nelle quali sono cresciute sviluppando un profondo e radicato vissuto di inadeguatezza ed indegnità personale.
Nelle relazioni affettive, i dipendenti, uomini o donne che siano, elemosinano attenzioni e continue conferme poiché aiuta a neutralizzare il senso d’impotenza, disagio, vuoto affettivo che sentono a livello personale. Questi provano una sensazione di ebbrezza dalla relazione dei partner perché indispensabile per stare bene; cercano “dosi” sempre maggiori di presenza e di tempo da spendere insieme al partner; esiste solo quando c’è l’altro e non basta il suo pensiero a rassicurarlo, hanno bisogno di manifestazioni continue e tangibili; l’aumento delle “dosi” esclude la coppia dal resto del mondo.
Se la dipendenza è reciproca, la coppia si alimenta di se stessa: l’altro è visto come un’evasione, come l’unica forma di gratificazione della vita. Le normali attività quotidiane sono trascurate poiché l’unica cosa importante è il tempo trascorso con il partner perché attesta l’esistenza del dipendente.
Quando il partner non c’è, il soggetto sente di non esistere e non è in grado di “pensare” ad una vita in cui il partner non ci sia. Questo pensiero rivela una bassa autostima e perdita della capacità critica propria e dell’altro.
Molte donne dipendenti, hanno subito abusi fisici, psichici ed emotivi durante l’infanzia, condizionando la persona a rapporti di sottomissione e passività, facendole sentire rifiutate in quanto “sbagliate” e abbandonate, con conseguente perdita d’identità seguita da vergogna e rimorso.
La psicoterapia può aiutare il paziente dipendente affettivo a riconoscere le complesse trappole cognitive ed emotive che lo conducono a sofferenza e infelicità. Gli obiettivi principali del percorso di cura della dipendenza affettiva riguardano: risolvere i principali sintomi della dipendenza affettiva, migliorare l’autostima, sviluppare capacità assertive di riconoscimento, validazione ed espressione di bisogni ed emozioni, acquisire autonomia, modificare i modelli di attaccamento insicuro attraverso l’elaborazione e il contenimento delle esperienze negative infantili e l’instaurarsi di legami significativi e soddisfacenti.
Come accade per gli altri generi di dipendenza, il trattamento della dipendenza affettiva può richiedere un tempo prolungato.
Il giusto approccio al problema richiede:
- Riconoscimento della propria dipendenza affettiva;
- Presa di coscienza delle conseguenze che il disturbo ha prodotto;
- Volontà di intraprendere un processo di cambiamento.
Nella maggior parte dei casi, l’approccio alla dipendenza affettiva comporta il porre fine al rapporto disfunzionale e cominciare a gestire l’astinenza, rendendo possibile l’instaurarsi di normali relazioni sentimentali.
A seconda della gravità del quadro clinico, la dipendenza affettiva può essere affrontata in modo efficace con la combinazione di vari approcci terapeutici (psicoterapia, farmaci ecc.).
Il primo passo verso la guarigione consiste nell’essere consapevoli di avere un problema e quindi di avere bisogno dell’aiuto di un esperto per risolverlo.
“Costruendo la propria gabbia ognuno impara ad amarla.”
MIRKO BADIALE
Dott.ssa Rita Guido
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Interessantissimo. Brava.