E ricomincia una nuova settimana, inesorabilmente. Detesto il lunedì, detesto la mattina, detesto tutto e tutti. E ho paura di questa settimana, anzi ne ho proprio terrore. Non voglio uscire da questo letto: anche se piccolo è un porto sicuro. O così sembra. Se non altro è il primo che ho trovato e che mi posso permettere ora.
La doccia… perché. Perché fare colazione, perché lavarsi, vestirsi, indossare il solito sorriso, recitare il “prego, accomodatevi, avete trovato facilmente lo studio?”, perché questa farsa?
Esci. In fretta perché sei pure in ritardo. E l’ascensore non arriva. Dovevo restarmene a letto, restare sospeso, almeno per oggi. E poi magari anche domani.
“Salve, scende?”. Ti parevo che mi beccavo pure la signora Rosa, lei con il suo gatto in amore che miagola tutta notte. Dannato gatto, dannato amore. Sono settimane che non si dorme più
“Tutto bene grazie, e Lei?”, sorridi cazzo, sorridi come si deve. Sono chiacchiere di circostanza. A lei non interessa veramente e nemmeno a te.
Auto. Traffico. Dovevo stare a letto… l’ho già detto troppe volte per essere le 8:30. 9:15: arrivato. Preparo lo studio e ci sono. Forse.
Giornata lunga, quasi interminabile. Entro in punta di piedi nelle storie dei miei pazienti, come quando ti accomodi per la prima volta a casa di qualcuno. Ascolti la storia di come è stato scelto il parquet, dei muri abbattuti, accetti un aperitivo e ascolti. In seduta non c’è aperitivo ma ascolti. E come quando sei ospite ti guardi attorno, esplori, chiedi. Il vantaggio di essere in prima fila, spettatori privilegiato della loro esistenza, con l’onere e l’onore di aiutare a mettere ordine, ad indicare dalla tua prospettiva: “hai mai notato che…”. Riformula, rielabora e riformula. Confrontati. Dovevo restare a letto.
Ultimo paziente della giornata. Non ci voleva, alla fine sono venuti.
“Prego, accomodatevi, avete trovato facilmente lo studio?” E poi incalzi: “cosa vi porta qui da me?”.
“Mi ha tradito e ora la nostra storia è a un bivio”.
Fantastico.
Sento la lacerazione dentro. Il dolore di lui, quello di lei. Ne sento l’odore e il sapore, il rumore che fa il cuore quando per uno o due battiti si sospende, quando dentro è un’implosione sorda. La sensazione di morire che si trasforma in desiderio, al solo scopo di non sentire più nulla. Gli interrogativi che ti assalgono, la voglia di urlare che è come nei sogni, in cui non esce una nota e tu hai la bocca spalancata e le tonsille in fiamme.
Non riesci nemmeno a piangere, sei un groviglio di budella e dolore.
La terapia mi sta aiutando, è fondamentale. Ma il dolore è mio e me lo devo smazzare io. Sanguino anche io dentro, ma non si vede. Come capita ai miei pazienti. Come capita a tutti. “Ok, vediamo come posso aiutarvi”.
Lunedì Mattina – H_Caulfield_Concorso NovaMentis
Holden Caulfield