Quante volte ci capita di sentire un genitore lamentarsi del fatto che il proprio figlio passa molto tempo davanti alla playstation a giocare al suo videogioco preferito?
E quante altre, invece, ci capita di sentire i bambini e gli adolescenti parlare tra loro di un nuovo aggiornamento da scaricare o di strategie vincenti per superare livelli difficili all’interno di una piattaforma virtuale?
La realtà del videogioco, ad oggi, è predominante nella vita dei più giovani, per questo non può essere ignorata, ma, al contrario, merita di essere approfondita.
La letteratura attualmente presente sul tema affronta, in misura maggiore, i potenziali effetti negativi dell’uso dei videogame da parte dei più piccoli: istigazione alla violenza e all’aggressività, disturbi del sonno, difficoltà a scuola a causa del troppo tempo trascorso a giocare, sedentarietà che potrebbe provocare sovrappeso, disturbi dell’umore, perdita di interesse per le altre attività quotidiane, fino ad arrivare ad una vera e propria dipendenza dall’attività di gaming.
Ma davvero può essere solo questo? Davvero non esistono dei lati positivi che hanno senso di essere considerati?
Un’altra fetta di letteratura, sempre più crescente negli ultimi anni, evidenzia numerosi aspetti positivi dei videogiochi, in quanto questi ultimi non possono e non devono essere considerati solo come una fonte di distrazione o come potenziale pericolo.
Per comprendere realmente la rilevanza dell’argomento, è necessario partire da un concetto basilare: la dimensione del gioco accompagna l’individuo per tutto l’arco della vita. Non si può prescindere dal gioco, qualsiasi forma esso acquisisca negli anni, proprio in virtù del suo ruolo fondamentale nel processo di costruzione della propria identità individuale e collettiva. Giocando si impara a stare con gli altri, a condividere interessi, a scambiarsi idee, a collaborare, a rafforzare abilità motorie, cognitive e relazionali. È proprio il gioco il mezzo che il bambino privilegia per dare un senso alle cose, perché in esso riesce a trovare il modo per evadere da una realtà fatta di regole e creare un suo piccolo mondo in cui regna la libertà di essere e di sperimentare.
Tutte queste caratteristiche, seppur più complesse e intricate, possono essere ritrovate nel videogioco, all’interno del quale la dimensione creativa dell’attività ludica si sposa con una grande richiesta di immaginazione, identificazione e socialità. Sono elementi tutt’altro che scontati, ai quali sarebbe un vero peccato rinunciare. Considerare tutti questi potenziali benefici è importante soprattutto perché i videogiochi sono cambiati moltissimo nel tempo, diventando sempre più realistici, complessi e in grado di fornire esperienze di gioco altamente avvincenti.
Uno degli aspetti peculiari del videogioco moderno è sicuramente quello della socialità. I videogiochi ad oggi più usati dai ragazzi non si svolgono quasi mai in single player, ovvero in totale individualità, ma, al contrario, comunemente si gioca con diverse persone in uno stesso ambiente virtuale. Si può trattare di amici di scuola, conoscenti, persone conosciute sulla piattaforma virtuale stessa, a volte anche di diversa nazionalità. Questa modalità di gioco multiplayer conferisce al videogioco la caratteristica distintiva di interattività: è il videogioco stesso a richiedere continuamente al giocatore di non arrendersi passivamente alla trama, ma di mettere in atto comportamenti attivamente impegnati per reagire a quelli degli altri giocatori. Sempre più frequentemente i ragazzi creano delle vere e proprie squadre, che proprio in virtù dei legami che si instaurano al suo interno tra i diversi giocatori, richiedono un certo grado di cooperazione e conoscenza reciproca, di sostegno, di fiducia nell’altro e di capacità di collaborare per fare gli interessi in un gruppo più ampio, tutte caratteristiche tipiche del comportamento prosociale. Questa natura sociale pervasiva, sempre più predominante all’interno dei videogiochi, si scontra con lo stereotipo del giocatore isolato e chiuso in se stesso e apre le porte a dei contesti sociali immersivi, che costituiscono delle vere e proprie palestre di vita virtuali.
La socialità intrinseca al videogioco costringe ad un ripensamento in termini di utilità dello stesso, in quanto non si tratta più di una condizione isolante, ma piuttosto di uno strumento di condivisione e socializzazione che piace a bambini e ragazzi, e non solo!
Un’altra caratteristica del videogioco che non può non essere considerata riguarda l’allenamento costante delle abilità visuo-spaziali, garantito soprattutto dall’interfaccia grafica, molto spesso estremamente ricca di stimoli visivi provenienti da diversi punti dello schermo. Infatti, diverse evidenze scientifiche sottolineano che è proprio questa funzionalità del videogioco, combinata ad una rapidità di risposta richiesta, che permette un miglioramento della coordinazione oculomotoria, quindi della capacità di coordinare efficacemente i movimenti degli occhi con quelli degli arti, principalmente di quelli superiori.
Inoltre, per poter ottenere una performance prestante, il giocatore deve mantenere e controllare l’attenzione in un periodo di tempo medio-lungo su diversi oggetti e ambientazioni carichi di imprevisti. Questo ci fa pensare che, effettivamente, il processo di allocazione delle risorse attenzionali richiesto è molto alto e necessita di un filtraggio continuo delle informazioni inutili e dei distrattori che possono presentarsi da un momento all’altro. Questa continua richiesta di attenzione ha dalla sua parte un enorme vantaggio: non è imposta da nessuno, è il giocatore che sceglie, in totale autonomia, di impegnarsi in un’attività che, volente o nolente, lo tiene impegnato e ancorato dal punto di vista attentivo.
Si potrebbe anche pensare alla promozione delle abilità di problem-solving, stimolate soprattutto da alcune tipologie di videogiochi, ad esempio quelli di ruolo o di strategia. Si tratta di ambientazioni virtuali che spronano i giocatori a vagliare tutte le possibili alternative di azione, raccogliendo tutte le informazioni necessarie a fare una scelta e formulando una strategia che possa rivelarsi vincente ancor prima di agire. Sembra proprio lo stesso processo mentale che si attiva di fronte ad un problema quotidiano che il ragazzo può trovarsi ad affrontare a casa, a scuola o con gli amici. Il livello di difficoltà del gioco viene continuamente bilanciato con quelle che sono le abilità del ragazzo, perché se queste aumentano, aumentano anche gli enigmi, aumenta la difficoltà della loro risoluzione, che inizia a richiedere strategie d’azione sempre più complesse e diversificate.
Questo aspetto si lega sicuramente ad una componente creativa non indifferente, perché non sempre il modo per superare le difficoltà all’interno del gioco è così immediato.
Creatività e strategia sono accompagnate da una terza componente che è onnipresente nel videogioco, ovvero la possibilità di perdere. La gestione della frustrazione legata al fallimento nella missione di gioco è un altro elemento degno di nota, perché sprona il ragazzo a non demordere, a riprovarci, a migliorare nel tempo per fare in modo che i propri sforzi non risultino vani. È proprio il potenziale fallimento l’elemento motivazionale di base: di fronte alla sconfitta, nella maggior parte dei casi il ragazzo è altamente motivato a fare un altro tentativo per dimostrare di potercela fare, di essere in grado di raggiungere l’obiettivo prefissato. Chiaramente, i sentimenti negativi non sono assenti, proprio perché il senso di fallimento si accompagna alla frustrazione per non essere riusciti nel proprio intento, alla rabbia o alla tristezza, ma è proprio questa la vera rivoluzione: il videogioco può insegnare ai ragazzi che le sfide si possono vincere con impegno e perseveranza, che le esperienze emotive intense possono essere rivalutate e gestite in molteplici modi e che di fronte a un fallimento la strategia giusta non è l’arresa o la ruminazione su ciò che è accaduto, ma la capacità di rialzarsi e rimettersi in gioco. Questi elementi potrebbero, di fatto, aiutare il ragazzo a costruire uno stile motivazionale ottimista, il quale a sua volta può essere generalizzato ai contesti di vita quotidiani.
Per comprendere davvero le potenzialità di questi strumenti, è necessario operare un cambio di prospettiva che permetta ai genitori, agli educatori, agli insegnanti, ai terapeuti e a tutti coloro che sono impegnati nell’educazione e nella tutela della salute mentale dei più giovani, di provare a considerarli come uno strumento di mediazione, utile non solo per scopi didattico-educativi, ma anche per entrare in contatto diretto con il ragazzo, utilizzando un mezzo che lui conosce molto bene. Tutto questo, chiaramente, senza mai dimenticare i diversi rischi connessi all’utilizzo patologico del gioco virtuale che sono stati elencati all’inizio, ma considerandoli come potenziali e non come dati per scontati.
Tutte le cose nuove, delle quali si conosce relativamente poco, spaventano, ma sarebbe uno spreco non considerare aprioristicamente l’altra faccia della medaglia. Per dirla in altre parole, sarebbe come annunciare un game over prima di cominciare la partita.
Ilaria Potenza
Dott.ssa in Psicologia Clinica dello Sviluppo
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