Margherita Patrizi – Dott.ssa in Psicologia
La depressione è un disturbo dell’umore estremamente diffuso nel nostro secolo: le ricerche infatti, stimano che circa 15 persone su 100 siano affette da tale patologia. Tale dato, in continua crescita, ha portato la comunità scientifica ad approfondire le conoscenze riguardo a questa tematica, al fine di mettere in atto strategie preventive e reattive adeguate.
I sintomi della depressione sono vari e, purtroppo, spesso silenti. Non è per nulla facile infatti riconoscere la presenza di tale disturbo, che è difficile da identificare e individuare non solo per le persone attorno al depresso ma anche per il soggetto stesso che ne è affetto. Vi è la tendenza diffusa a giustificare i sintomi tipici della depressione con una semplice “tristezza” o con un “periodo passeggero”, o ancora con un atteggiamento “esagerato”, andando così a sminuire la gravità del problema e ad intervenire di conseguenza spesso troppo tardi. E’ quindi presente un atteggiamento di profonda leggerezza nei confronti di tale disturbo come se come se bastasse poco per far rientrare tutto nella normalità, come se la visione del paziente affetto da depressione avesse come unico problema quella di essere troppo negativa. E se invece non fosse così? Se invece fosse proprio l’opposto?
La definizione di realismo depressivo è stata introdotto nel 1979 dagli psicologi L.B. Alloy e L.Y. Abramson. Gli autori effettuarono un esperimento, pubblicato poi sul Journal of Experimental Psychology, in cui cercarono di dimostrare le differenze di consapevolezza tra i soggetti affetti da depressione e quelli non affetti. L’esperimento era strutturato nel seguente modo: i partecipanti erano introdotti in una stanza e condotti davanti a una postazione su cui sopra vi era un pulsante; veniva poi chiesto loro di premere il pulsante al fine di accendere una lampadina di colore verde e di capire in che misura il gesto di premere il pulsante fosse collegato effettivamente all’accensione della lampadina. In realtà, ma nessuno ne era a conoscenza, il pulsante non era affatto collegato con l’accensione della lampadina. L’esperimento dimostrò come i partecipanti depressi fossero molto più abili nel comprendere che non vi fosse alcun nesso causale tra gesto e accensione, a differenza dei soggetti non depressi che invece tendevano a pensare di avere un controllo sull’accensione luce molto maggiore. Questo esperimento aprì quindi le porte all’ipotesi che i soggetti depressi avessero una maggiore comprensione della realtà, e quindi una visione più realistica.
La teoria del realismo depressivo quindi, ritiene che la visione pessimistica del soggetto depresso sia in realtà un modo più veritiero e reale di guardare alle cose che accadono e al loro perché, abbandonando una sorta di maschera che ci impone di autoilluderci. Pensiero inoltre molto simile a quello di Colin Felthman, che nel suo libro Depressive Realism : Interdisciplinary perspectives sostiene come un meccanismo di auto inganno sia fondamentale per il benessere psico-fisico della persona. Secondo tale teoria quindi, nel soggetto affetto da depressione questa maschera cade, aprendo le porte a una visione troppo realistica del mondo esterno e di conseguenza troppo angosciante.
Tale teoria è tuttavia fortemente controversa in ambito scientifico e sono tantissimi gli studiosi che la considerano per nulla attendibile. Ulteriori ricerche hanno infatti portato a risultati contrastanti, sottolineando come l’aumento di consapevolezza sia presente per lo più in pazienti affetti da depressione di grado lieve/moderato e non in quelli con una grave compromissione.
La teoria del realismo depressivo è quindi una teoria non avvalorata e ancora in divenire, proprio a causa della mancata visione unitaria da parte della comunità scientifica. Secondo molti studiosi infatti la depressione è un disturbo troppo complesso per essere ridotto e analizzato in questi termini.
E’ quindi opportuno precisare che la teoria del realismo depressivo è solo una teoria e che la depressione non può in alcun modo essere ridotta a termini così semplicistici come “visione pessimista” o “visione realista”. Ridurre la depressione a una visione “troppo realistica” potrebbe infatti avere gli stessi effetti controproducenti di rimproverare il depresso di avere una visione “troppo pessimista.”
Margherita Patrizi – Dott.ssa in Psicologia
Questo articolo ha un commento
Io concordo con la teoria del realismo depressivo, essendo la realtà più brutta di quello che per autodifesa è istinto di sopravvivenza tendiamo, anzi ci illudiamo di vedere, le persone realistiche non possono che deprimersi, si tratta anche di sensibilità che viene tracciata per fragilità, purtroppo chi ha questo problema è evidente che soffra maggiormente....