Fino ad ora la colazione non ha mai avuto tanta importanza, un bicchiere d’acqua in una mano e la ventiquattrore sottobraccio, il mazzo di chiavi svolazzante e lo slalom fra camion e semafori arancioni per raggiungere l’ufficio, dopo aver lasciato i bambini dai nonni. Un collega virtuale, dall’altra parte dello schermo, e una pausa caffè non più nelle strette vicinanze di un distributore automatico, a braccia conserte con lo sguardo fisso sull’orologio nell’attesa scalpitante del potente getto di un caffè bollente che consumerai in tre veloci sorsi. Il tuo nuovo ufficio non ha luogo, né identità: trova massima espressione nello sfondo di una parete bianca, o di una fitta libreria, e nella solitudine interrotta da una webcam messa a fuoco esattamente sul tuo volto, ad intermittenza, insieme a tanti altri volti.
Ad oggi un vasetto di yoghurt, busta di cereali integrali al cioccolato, doppio caffè macchiato con latte di soia e una confezione di brioche circondano, come la muraglia di una fortezza, il computer in surriscaldamento, l’agenda e pile di documenti dimenticati. Una riunione virtuale e la vocina della piattaforma che ti ricorda, in maniera cadenzata, di essere ancora in attesa ma ti resta tutto il tempo per divorare un avanzo di focaccia, qualche biscotto al burro e tutto quel cibo che è lì, accano a tuo computer, a vista d’occhio.
E’ scoppiata la pandemia e con essa la rivoluzione di una routine consolidata da anni!
Restrizione, isolamento e misure contenitive le tre regole fondamentali per la sopravvivenza di ognuno di noi, per preservare la nostra salute, quella degli altri, e combattere insieme lo straniero virus. E in una continua lotta ad armi impari che fine hanno fatto i nostri bisogni, i nostri desideri, le nostre priorità e i piccoli obiettivi gradualmente conquistati come, ad esempio, una banale “messa in ordine nutrizionale” da tempo rincorsa e finalmente raggiunta? Che fine ha fatto quella perdita del peso faticata ma nel tempo finalmente realizzata? E quel miglioramento dei disturbi gastrici che per anni hanno condizionato la buona riuscita e la serenità degli stessi rapporti sociali? Sono forse sconfinati nelle mura di una casa a tratti scomoda, inadeguata e nauseabonda con quell’odore di broccoli stufati che hai sempre detestato, fra gli specchi dominanti e invadenti di cui ignoravi quasi l’esistenza e fra le scale di una terrazza che non avevi mai lontanamente percorso fino ad ora ma che sono, ad oggi, solcate prepotentemente dal ripetersi di un allenamento all’ultimo respiro.
Le prime segnalazioni giungono a maggio dall’Istituto Superiore di Sanità, in seguito alla prima ondata del Covid–19 ma ad oggi decisamente riconfermate e in crescita. Si assiste, dunque, ad un incremento del 30% di persone affette di disturbi del comportamento alimentare, senza più drastiche distinzioni di genere e con un abbassamento rilevante dell’età di insorgenza fra i 10 e 12 anni circa. L’isolamento dai compagni di scuola, l’impossibilità di fare attività fisica, la forzata e prolungata convivenza con la famiglia e la costante disponibilità di cibo in casa hanno peggiorato le condizioni di chi ne soffriva, dei più sensibili e di chi, per la prima volta, ha conosciuto l’inspiegabile volto del disturbo del comportamento alimentare (DCA). No, non si tratta solo di anoressia nervosa, bulimia nervosa o disturbo da binge eating ma di tante altre forme di diagnosi, singole condotte o ripetuti processi di eliminazione e di compensazione che riconduciamo alla grande famiglia dei DCA. Studi clinici e di comunità indicano che non è infrequente rilevare un disturbo non inquadrabile nelle forme poc’anzi citate, piuttosto frequente è invece il disturbo alimentare non altrimenti specificato (NAS) o atipico. Lo spettro è molto ampio e abbraccia il soggetto sovrappeso, normopeso e sottopeso secondo processi identificativi sovrapponibili e indici clinici comuni di natura trasdiagnostica. I DCA si caratterizzano di diverse concause di natura biologica, psicologica e sociale che interagiscono fra loro nella realtà di un quadro complesso e non privo di insidie. La natura del disturbo del comportamento alimentare è quello di mascherarsi nella fase iniziale per poi manifestare i primi segni di riconoscimento in maniera ambigua, fievole e vacillante. Molte persone affette da disturbi del comportamento alimentare condividono abitudini simili e simili preoccupazioni rispetto a forma e peso corporeo (cambia l’attenzione verso specifiche parti del corpo, ad esempio) o rispetto al consumo di alcuni cibi. A volte il cibo diventa una vera ossessione e lo si cerca ovunque fra le dispense di casa, fra i programmi di cucina e le ricette del web; contrariamente si potrebbe esprime la tendenza a scegliere i cibi più sani, a basso apporto calorico ma scarsamente gratificanti.
Il forte impatto che la pandemia ha scatenato sulle persone affetta da DCA è stato messo in luce in termini di peggioramento dei sintomi specifici dei disturbi e dei sintomi che ad essi sono correlati. Un indagine condotta ha analizzato le forme maggiormente rappresentative e dimostrato che nelle persone con anoressia è aumentata la restrizione alimentare, con una selezione più rigida nei confronti del cibo; nei pazienti più giovani, attenti alla scelta del cibo, ha influito la sensazione di perdita del controllo dei propri pasti e il fatto di affrontare obbligatoriamente dei pasti in famiglia e, di conseguenza, l’impossibilità di gestire autonomamente la propria alimentazione; per chi soffre di bulimia e di disturbo da alimentazione incontrollata sono aumentati gli episodi di abbuffate e anche i metodi di compenso (come ad esempio il vomito) con una forte incidenza sul cambiamento nelle modalità di fare la spesa e il fatto di avere una grande quantità di cibo a disposizione.
Il cambiamento, per chi soffre di DCA, inizia nel momento esatto in cui il soggetto rompe il silenzio e prende, in parte, una piccola consapevolezza dei propri comportamenti, abbattendo il giudizio sul proprio conto, sulla sua forma fisica, sulla scelta del cibo e quantità ingerita. Inizia da qui e continua insieme al lavoro di un’equipe specializzata come il medico di base, lo psicoterapeuta, lo psichiatra e il nutrizionista. Inizia ad accettare la tua persona, inizia a raccontare a te stessa, a scarabocchiare un “diario alimentare della consapevolezza” riportando i luoghi, i cibi introdotti, il momento in cui hai ricercato, con tutte le forze, qualcosa da sgranocchiare e i momenti in cui hai provato pentimento. Inizia da qui e nel frattempo prova a non trasformare il momento del pasto in un campo di battaglia o, al contrario, in un porto sicuro!