Ferie d’estate. Giornate trascorse al mare con la famiglia. Si pensa sicuramente a momenti rilassanti e ricchi di risate e divertimento. Si, i sorrisi non mancano. Ma conditi da ansie e tensioni da mamma di una bimba piccola e di un neonato di nemmeno tre mesi.
Essere accudenti con entrambi, far divertire la più grande e tutelare il piccolino da un sole grosso e caldo, dal vento meridionale e dai granelli di sabbia negli occhi.
Una coppia alle prese con la genitorialità.
Questo è il primo anno che mia figlia non mi vede in riva ad attenderla per pettinarle i lunghi capelli e legarli in una coda. Il nostro rituale estivo al mare. Ma costretta a dividermi appunto tra la riva del mare e il cinguettio delle cicale per vegliare e accudire il fratellino. E’ la prima estate che non sono sempre presente anche ad accogliere dei piccoli capricci o semplicemente aprirle la bottiglia dell’acqua. Piccoli gesti ricchi di un legame indissolubile. Quando devo allontanarmi da lei cerco comunque di rassicurarla sulla mia presenza.
E le giornate trascorrono così, una famiglia come un’industria che non arresta mai la produzione ma che si stringe cuore a cuore al calar della notte finalmente a letto.
Un pomeriggio mentre a gran velocità mi destreggiavo tra un capriccio della più grande e il pianto di fame (o di sonno) del più piccolo, mi sento osservata da una signora che potrebbe avere l’età di mia mamma.
Quando si stabilizza il momento di “crisi” del momento mi chiede di potermi parlare. Mi avvicino simpaticamente forse anche perché avevo tanto bisogno di una parola nuova da scambiare anche io. La signora mi dice: “Sei svelta svelta…complimenti!”
Dovrei sentirmi una vincitrice, ho appena ricevuto un trofeo e i complimenti e invece mi verrebbe da sedermi accanto a lei e liberarmi in un pianto.
Ci fermiamo a fare due chiacchere. Il piccolino dorme nella carrozzina sotto la brezza marina delle ultime ore del giorno, la sorella più grande è ormai pronta per tornare a casa, stanca per i troppi tuffi.
La gentile signora mi chiede dove abito e che lavoro svolgo.
Scopriamo di essere geograficamente vicine e di avere conoscenze comuni. Un bene o un male. Non mi importa. Sento forte il bisogno di non pensare più a nulla e di assecondare quel bisogno comune di essere in relazione.
Le dico di essere una psicoterapeuta quasi con vergogna perché so benissimo cosa si dice in giro e me lo sono sentita dire tante volte: Ah allora tu sai dove mettere le mani! Sei proprio forte, di vede! Queste parole tuonano nuovamente in me ma non riesco proprio a sorridere e ringraziare come faccio solitamente. Sono troppo stanca. E ancora la giornata non è giunta al termine. Ah vero, con dei figli così piccoli non c’è distinzione tra giorno e notte. Ogni tanto rimuovo questo aspetto. E allora rispondo ciò che sento in quel momento. Che vorrei spegnermi per un giorno intero o scappare in vacanza per una settimana. E mentre lo dico non mi sento in colpa.
Sono una psicoterapeuta, sto vivendo un momento di crisi e lo grido al mondo intero. Ho bisogno di condividere e lo faccio. Mi aspetto uno sguardo di disapprovazione. Sono stata abituata a questo. Ma questo è un giorno nuovo.
La signora mi sorride teneramente e scuote la testa in modo materno. Che succede?
Il marito che sembrava stesse riposando accanto a lei si alza d’improvviso e inizia a confidare le loro problematiche familiari legate ad alcune fobie della moglie. Mi siedo con loro. Il piccolino dorme. Mia figlia si siede accanto a me. Mio marito cerca di recuperare del sonno perso negli ultimi mesi. Ma recuperare il sonno perso sappiamo essere impossibile. La vita scorre.
C’e’ una tregua. Si tratta di minuti effettivamente ma a me sembra un tempo infinito. Bellissimo. Nasce una bella confidenza. Posso aprirmi anche io senza sentirmi giudicata, come madre, ma soprattutto come terapeuta-madre, posso sentirmi me stessa.
Quando ci congediamo con un arrivederci al giorno successivo mi sento più leggera. La routine serale e quotidiana dei giorni a venire non cambia, ma mi sento veramente più forte. Più forte di esprimere le mie fragilità. Di esprimere i miei fallimenti. Più forte perché finalmente non provo vergogna di fronte agli sguardi di chi mi vede arrivare con un pargoletto al mare e districarmi tra tante dinamiche.
Fallisco quando sono troppo stanca per ascoltare pienamente qualche capriccio e mi riprometto di rimediare la mattina successiva. Fallisco quando ho dimenticato qualche provvista per la giornata. Ma fallire è umano e forse mettersi a nudo ha aiutato anche chi vede un professionista come garante della verità assoluta nel proprio campo di specializzazione. Da quel giorno non ho avuto paura e ansia di dovermi sentire sbagliata solo per essere me stessa. Ho il diritto di fallire. Tutti abbiamo il diritto al fallimento.
Vivere il quotidiano
Nella mia pratica clinica mi confronto spesso con problematiche del quotidiano. Non mi piace parlare di diagnosi e cura. Mi piace parlare di persone che vivono con difficoltà alcuni momenti della loro vita o alcune dinamiche relazionali.
Chi si approccia alla psicoterapia non lo fa solo perché ha letto una diagnosi sul web oppure perché ha una patologia. Tutti noi viviamo un momento di distress nel corso della vita. Saperlo cogliere e riconoscere la difficoltà senza provare vergogna o senso di colpa ci permette di chiedere aiuto, di condividere, di non aver paura del giudizio. Non è forte chi non mostra mai il fianco, ma è forte chi riconosce le proprie emozioni e le utilizza per apprendere modi nuovi di affrontare le situazioni che la vita ci presenta quotidianamente.
Le emozioni non ascoltate possono portarci a chiuderci in noi stessi, ad evitare situazioni e relazioni per paura di sbagliare. Cosa accade se fallisco? Cosa accade se sbaglio?
Affrontare le proprie paure
Riconoscere le proprie paure e attraversarle è il modo più efficace per trovare una direzione differente nella gestione delle paure stesse e delle scelte di vita. Riconoscere di avere una difficoltà, non aver paura del giudizio e permettere a se stessi di essere autentici.
Quando sentiamo un blocco interiore, una sensazione di affaticamento, tachicardia, tremore negli arti, un peso nel petto, la sensazione di “testa che scoppia” probabilmente qualcosa non sta seguendo una direzione salutare per la nostra anima.
Riconoscerlo e ascoltarlo. Fermarsi ad ascoltarci. Chiedere aiuto ad uno specialista del settore ci permette di superare il blocco iniziale che è proprio la paura del giudizio, la paura di fallire.
I primi a richiedere aiuto siamo noi specialisti del settore. Non è realistico non avere difficoltà emotive e relazionali solo perché le abbiamo studiate.
Sentirle, accoglierle, accettarle e attraversarle ci permette di guardarci realmente allo specchio e ritrovare quella forza interiore che tutti ci etichettano addosso solo perché appunto professionisti. Come noi, tutte le persone che stanno attraversando un momento di difficoltà, un fallimento possono chiedere aiuto a chi non solo ha studiato ma soprattutto le riconosce su di se’.
Siamo essere umani, non siamo solo corpo, siamo anima.
Dott.ssa Silvia Dongiovanni