Molto spesso quando, quando parliamo dei nostri figli, si tende a dare importanza principale al rapporto con la madre e al tipo di relazione instaurata con essa rispetto alla figura paterna.
In ognuno di noi, la parola “papà”, scatena una moltitudine di immagini diverse, che dipendono da che tipo di rapporto abbiamo avuto con nostro padre oppure dal tipo di immagine fantasmatica che portiamo in testa di questa figura.
Ma in che modo la relazione padre-figlio, soprattutto padre-figlia, influenza lo sviluppo affettivo del bambino?
Certamente, nel corso degli anni, il ruolo della figura paterna è cambiato molto, passando da un ruolo di “padre-padrone”, dove, all’interno di questo modello, tutti i rapporti del sistema familiare erano caratterizzati da una rigida asimmetria: l’uomo era il detentore unico e indiscusso dell’autorità e del potere sulla moglie, la quale si trovava così a dover sottostare alle facoltà decisionali e al dominio del marito; inoltre, l’uomo disponeva del completo potere decisionale sulla vita dei figli, sulle regole da seguire in casa e sul ruolo che ognuno avrebbe dovuto rivestire. Il ‘vecchio’ padre era pertanto una figura dominante, regolatrice, poco o per nulla dedita all’espressione dei propri sentimenti e bisogni, spesso assente nella vita affettiva e relazionale dei figli ed impegnata nell’esercizio della legge (Loschi e Vandelli, 1999).
A seguito di eventi importanti, come l’industrializzazione e l’emancipazione della donna, è andata, perciò, man mano decadendo l’organizzazione familiare basata sulla divisione dei ruoli: scompare l’immagine della madre-casalinga che si occupa della casa e dei figli e del padre-lavoratore distante dalla vita familiare. Il fatto che entrambi i coniugi lavorano comporta la necessità di una collaborazione nelle incombenze domestiche e soprattutto nella cura dei figli (coppia simmetrica). È così che il padre ha iniziato ad avvicinarsi ai figli, investendo sempre maggior tempo nel creare una relazione con loro e sperimentando così un sentimento paterno sconosciuto alle generazioni precedenti.
Ha preso sempre più piede, fino ad arrivare ai giorni nostri, l’immagine di un “nuovo padre” partecipe alla vita familiare, ma soprattutto coinvolto emotivamente nella relazione con il figlio. Oggi i padri si trovano però davanti ad un conflitto: da un lato sono chiamati a rivestire una funzione di guida, appoggio, sostegno, sono invitati a favorire lo sviluppo dell’autonomia e della maturazione nei figli e ad esercitare l’autorità, dall’altro sono fortemente incoraggiati a prendere parte alla regolazione dei rapporti familiari, ad entrare in connessione coi figli, creando un legame affettivo fondato sull’intimità e l’espressione delle emozioni (Loschi e Vandelli, 1999). Ci si aspetta da loro che sappiano praticare contemporaneamente giustizia e cura, regole e affetti (Saraceno, 2017).
In quest’ottica possiamo immaginare quanto sia importante per un bambino la vicinanza e il riconoscimento del padre, il sentirsi ascoltato, visto e compreso rispetto ai suoi gusti, emozioni e desideri. L’affetto e il calore di un genitore verso i figli sono infatti elementi fondamentali al fine di favorire in loro uno sviluppo efficace e positivo. Quindi, non solo la madre interviene in questo processo, ma anche il padre risulta avere un’influenza, soprattutto nel legame con i figli, sulla maturazione individuale.
Un bambino ha inoltre bisogno di essere sostenuto, consolato e incoraggiato dal proprio padre, specialmente nei momenti di sofferenza. Pur apparendo quasi scontato, questo aspetto risulta non sempre presente; anzi, non sono rari i casi in cui il papà reagisce al dolore del figlio minimizzando, evitando o addirittura deridendo il problema (Braconnier, 2008).
Quando un padre reagisce sdrammatizzando, sottraendosi o canzonando il malessere del figlio, in particolare se di sesso femminile, non significa automaticamente che sia un cattivo padre o che non ci tenga e non si preoccupi per il bene della bambina o ragazzina. Al contrario, spesso il motivo dietro a simili reazioni è dovuto ad una difficoltà nel gestire e affrontare la frustrazione, soprattutto nei confronti della figlia, e a differenze di genere nelle modalità di comunicare e affrontare i problemi. Ancora, alcuni padri possono mantenere le distanze non perché non amano, ma perché temono di costruire un rapporto troppo stretto (Corneau, 2000; Braconnier, 2008). Così, una volta che, in particolar modo la loro figlia, è giunta alla soglia dell’adolescenza, questi improvvisamente diventano distaccati, silenziosi e riservati, senza darle la possibilità di capire le ragioni dietro a tale cambiamento.
Dunque che cosa esattamente influenza la creazione del legame padre-figlio?
Ci sono due fattori che contribuiscono in modo rilevante allo sviluppo di un legame significativo tra padre e figlio: il fatto che egli sia presente e partecipe nella vita quotidiana del piccolo ed il rapporto coniugale.
Vediamoli brevemente.
- Un aspetto importante, anzitutto, è il fatto che il padre sia presente da subito nella vita del bambino e soprattutto che lo sia in modo attivo e partecipe. Da uno studio realizzato (Lamb et al 1983) su un campione di genitori svedesi, emerge come laddove il padre non si presenti particolarmente attivo come compagno di gioco, il bambino mostri una preferenza verso la madre. Risultati simili sono stati ottenuti da una ricerca (Frascarolo-Moutinot 1994) condotta in Svizzera: il padre, quanto la madre, funge da fonte di sicurezza per il bambino solo nel momento in cui egli assume un ruolo significativo nella sua vita quotidiana. Nelle famiglie tradizionali, cioè laddove il padre risulta poco presente, infatti, il piccolo tende a ricercare conforto principalmente dalla madre.
- Un ruolo rilevante lo assolve poi il contesto familiare, più precisamente il rapporto con la propria compagna e l’atteggiamento di quest’ultima nei confronti del neo-papà. Avere un buon rapporto coniugale non può che influenzare positivamente le modalità di approccio di entrambi i genitori al bambino. Goldberg ed Easterbrooks (1984), inoltre, hanno rilevato che, nel caso di scarso accordo coniugale, i figli presentano un legame di attaccamento insicuro in modo più frequente rispetto ai bambini che provengono da famiglie in cui i genitori sono maggiormente uniti. Un aspetto di notevole interesse è quello emerso da una ricerca di Belsky (1991). Secondo l’autore le relazioni del bambino con i due genitori non sono influenzate allo stesso modo da eventuali problemi coniugali: a risentirne maggiormente sarebbe il legame con il padre, mentre la relazione madre-bambino sembra mostrare poche difficoltà. Nei momenti di crisi matrimoniali, l’atteggiamento paterno tende a diventare più negativo ed invadente e il figlio si mostra maggiormente disubbidiente. Oltre alla qualità della relazione di coppia, un ruolo importante è rivestito in modo specifico dalla madre, la quale ha per natura un contatto più immediato con il piccolo, avendolo avuto in grembo per nove mesi e spesso allattandolo al seno. Se il suo atteggiamento è di chiusura nella diade con il bambino, naturalmente il padre troverà forti difficoltà nel creare una relazione precoce con lui. Per questo motivo se da un lato è indispensabile che egli sia interessato e partecipe, dall’altro anche la moglie dovrebbe agevolare questo avvicinamento. Di base ci dovrebbe essere la convinzione che il suo compagno è in grado quanto lei di occuparsi del piccolo e, quindi, favorire le interazioni dirette tra i due sin dalla nascita.
Ciò che emerge, perciò, è la figura di un padre distinto dalla madre, che non può essere considerato una seconda mamma; rappresenta, invece, un qualcosa di diverso rispetto ad essa.
Un padre sempre più implicato nel rapporto con i figli, in grado quanto la madre di occuparsene e stabilire una relazione d’attaccamento, ma che allo stesso tempo non si confonde con essa, che mantiene viva la specificità della sua figura e del suo ruolo. Questa differenziazione assume una forte rilevanza per il piccolo in quanto egli può rapportarsi con due mondi eterogenei, che contribuiscono con la loro specificità al sano sviluppo psichico del bambino.
Il rapporto padre-figlio quindi gioca un ruolo nel loro sviluppo affettivo e in generale influenza la maturazione individuale del bambino. L’impatto di tale legame sulla crescita può quindi essere collocato allo stesso livello di importanza di quello della relazione madre-figlio.
Dott.ssa Rita Guido – Psicologa
BIBLIOGRAFIA
- Baldoni, F. (2007). Modelli operativi interni e relazioni di attaccamento in preadolescenza. In G. Crocetti e R. Agosta, (a cura di), Preadolescenza. Il bambino caduto dalle fiabe: Teoria della clinica e prassi psicoterapeutica. Bologna.
- Braconnier, A. (2008). Padri e figlie. Milano: Raffaello Cortina.
- Cantelmi, T., e Lambiase, E. (2007). Legame affettivo e comportamento sessuale: Come lo stile di attaccamento influenza il comportamento sessuale. Psicoterapia e Scienze Umane, XLI.
- Corneau, G., (2000). L’amore possibile: Come i rapporti padre-figlia e madre-figlio ci influenzano nell’amore. Milano: Corbaccio.
- Frascarolo-Moutinot, F. (1994). Engagement paternal quotidien et relations parents-enfant [Daily paternal involvement and parent-child relationships]. Unpublished doctoral dissertation, Universite de Geneve, Geneve, Switzerland.
- Lamb, M.E., Frodi, A.M., Hwang, C.P., e Frodi, M. (1982). Varying degrees of paternal involvement in infant care: Attitudinal, behavioral correlates. In M.E. Lamb (ed.), Non traditional families: Parenting and child development. Hillsdale (N.J.).
- Loschi, T., e Vandelli, G. (1999). Essere padre, fare il padre: Per una buona relazione con i figli dalla loro nascita all’adolescenza. Bologna: Calderini.
- Saraceno, C. (2017). L’equivoco della famiglia. Bari: Laterza.
Questo articolo ha un commento
Uff io sono mamma single, vorrei che il padre fosse presente nella vita del figlio ma pare che per lui sia un grande sforzo, nega di non essere emotivamente coinvolto nella vita del figlio, il figlio lo desidera e lo teme al tempo stesso. Il rapporto tra loro mi fa molta tristezza e rabbia. Come può non essere appassionato della compagnia di suo figlio? E sapete che fa? Da la colpa al bambino dice che è il bambino che non gli chiede di fare le cose... Ma è il genitore che deve avere le iniziative! Che tristezza