Dipendenza affettiva: quando l’amore ha le catene

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Gli disse amor se mi vuoi bene
Tralalalalla tralallaleru
Gli disse amor se mi vuoi bene
Tagliati dei polsi le quattro vene.

Dè Andrè con la sua canzone “La ballata dell’amore cieco” ci permette di introdurre un argomento molto discusso, quello delle relazioni tossiche. Il brano racconta le gesta di un uomo che sacrifica prima la vita della madre e poi la propria per assecondare le richieste della donna “amata”.

Fino a che punto può considerarsi amore una relazione in cui l’altro ci richiede una devozione assoluta?

Quando due persone si innamorano, è comprensibile che sia difficile stabilire sin da subito un equilibrio tra i propri bisogni e quelli dell’altro: si cerca l’amato/a, si ha sempre voglia di sentirlo/a e di trascorrere del tempo con lui/lei. Dopo questo iniziale periodo se siamo coinvolti in una relazione sana, la coppia diventa più stabile, l’uno si prende cura dell’altro, ciascuno mantiene i propri spazi e man mano che la coppia evolve si creano nuovi equilibri.

Nel momento in cui il rispetto viene meno, la nostra vita passa in secondo piano e l’altro diviene il fulcro di ogni nostro respiro, assistiamo a ciò che definiamo dipendenza affettiva.

Lentamente lavoro, amici e vita familiare perdono di importanza. Come un affamato d’amore il partner con dipendenza affettiva, spesso si accontenta delle briciole e in alcune circostanze giustifica perfino i comportamenti violenti dell’altro pur di rimanere nella relazione. Ed ecco che uno dopo l’altro gli impegni vengono annullati, le passioni dimenticate e tutte le energie vengono dirottate verso il partner.

L’amato diviene essenziale nella quotidianità e nella routine: ogni passo è svolto in funzione della coppia. La possibilità di essere abbandonato o sostituito dal proprio compagno, infatti, rappresenta uno scenario talmente tanto doloroso da dover essere scongiurato a tutti i costi.

Comportamenti disfunzionali vengono interpretati come prova d’amore, “se voglio stare sempre con lui è perché lo amo”, “fare le cose da soli non ha senso, non è gratificante”.

Spesso, in letteratura, la dipendenza affettiva è stata paragonata alla dipendenza da sostanze, in entrambi i fenomeni possiamo individuare un periodo iniziale di “euforia” (data dalla vicinanza al partner), un momento di tolleranza (le manifestazioni d’amore aumentano giorno dopo giorno e il bisogno di vicinanza al partner non sembra mai soddisfatto) e un’ultima fase di astinenza in seguito alla rottura della relazione (il soggetto sperimenta ansia, insonnia e irritabilità).

Familiari e amici si domandano se il soggetto sia consapevole del circuito psicopatologico in cui è incappato. L’individuo non sempre è cosciente della tossicità della relazione, spesso lo diventa nel tempo o per alcuni fasi della storia.

Se soffri più spesso di quando sei felice, vuol dire che non è amore, ma qualcosa di differente che ti tiene intrappolata in una sorta di prigione, e ti impedisce di vedere la porta verso la libertà, spalancata davanti a te.” (La principessa che credeva nelle favole, Marcia Powers).

La dipendenza affettiva si può trattare attraverso un percorso psicoterapeutico individuale, nel corso del quale si lavora per il raggiungimento di diversi obbiettivi come ad esempio modificare l’immagine che il soggetto ha di se stesso e sviluppare la capacità di mantenere una relazione sana.

Affinché questo accada è necessario che il soggetto sia consapevole di avere un problema e metta in discussione i comportamenti messi in atto all’interno della relazione, iniziando a pensare a quest’ultima come la manifestazione di una dipendenza e non come alla prova di “cieco amore”.

Fonte

“Dipendenze senza sostanza: aspetti clinici e terapeutici” D. Marazziti, S. Presta, M. Picchetti, L. Dell’Osso

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