AFFRONTARE LA DIAGNOSI DI DISABILITÀ DI UN FIGLIO: l’importanza del supporto alla famiglia durante il processo di elaborazione della diagnosi.

Condividi

Aprile Francesca – Dott.ssa in Psicologia

“Ho sempre immaginato il giorno in cui sarei diventata madre. Sara? un maschio o una femmina? Avrà il mio naso? Vorrei tanto avesse i miei stessi occhi! Se fosse un maschio mi piacerebbe chiamarlo Marco…. Alessia!, si? Alessia sarebbe perfetto per la mia bambina! Pensieri che corrono veloci, farfalle nello stomaco, testa ubriaca di felicita? e al tempo stesso di paura, è una paura bella, di quelle che ti fanno tremare ma che prendendoti per mano ti rassicurano e ti sussurrano dolcemente che ce la puoi fare! Si? sarai una brava madre! E tu ci credi, dopotutto cosa potrebbe andar male?

Ora sono qui, sono finalmente una madre. In questo momento sono con dei medici che mi parlano, ma non capisco cosa vogliono dirmi, sento solo un ronzio, parlano con me? Parlano del mio bambino? Si?, parlano di Marco. No non ci credo, il mio bambino non è disabile e non è possibile che dovrà esserlo per il resto della sua vita! È solo un brutto sogno vero? Voglio svegliarmi! Come fanno nei film scadenti che passano in TV, porto la mano sulla coscia e prendo un po’ di pelle tra indice e pollice, pizzico forte, di solito funziona, ci si sveglia! Ma non funziona, perché non funziona? Sento la paura che si fa strada dentro di me, ogni centimetro del mio corpo trema. Questa volta è una paura brutta, una paura che ti schiaccia il petto, ti paralizza e ti impedisce di pensare, ascoltare e capire. Perché proprio a me? Perché proprio il mio bambino?”

Quando un genitore riceve la diagnosi di disabilità del proprio figlio, al di là del fatto che questa sia stata causata da fattori genetici, metabolici, trauma da parto o da incidenti, vive un vero e proprio lutto. È come se improvvisamente il mondo ti cadesse addosso con tutto il suo peso di dolore, senso di inadeguatezza, angoscia e sconcerto, dopotutto nessuno pensa mai che possa succedere proprio a lui e al proprio bambino, per qualche strano motivo sembra sempre che queste cose debbano succedere solo agli altri. E invece tutto ad un tratto ci si ritrova la vita stravolta e il cuore sottosopra, e nella testa pensieri si rincorrono e fanno a gara a chi è il più spaventoso: come potrò mai riuscire ad affrontare tutto questo? che futuro avrà il mio bambino? E cosa ne sarà di lui quando io non ci sarò più?

Nel corso della gravidanza i genitori iniziano a fantasticare sulle caratteristiche fisiche e caratteriali che avrà il loro bambino. Questa rappresentazione di bambino “ideale” si scontra, dopo il parto, con l’immagine del bambino reale, un bambino che ha delle sue personali caratteristiche che non sempre rispecchiano il bambino che i genitori avevano idealizzato.

Quando il bambino che nasce è un bambino con disabilità integrare le diverse immagini risulta più difficile in quanto l’immagine del bambino ideale è una rappresentazione molto diversa dal bambino reale, un bambino che non solo non è come i genitori lo avevano immaginato, ma ha anche delle difficolta? e richiede particolari attenzioni, cure e impegno.

In generale, la nascita di un figlio comporta sempre una riorganizzazione familiare. La coppia, in particolare, deve adattarsi a nuovi ritmi e responsabilità ed inizialmente è normale un certo grado di confusione, di disorganizzazione e di stress. Quando però nasce un bambino portatore di disabilita? o di malattia cronica, l’intera famiglia è attraversata da un vero e proprio uragano; non solo si vivono i normali stravolgimenti relativi all’arrivo di un nuovo piccolo membro bisognoso di attenzioni e affetto, ma ci si ritrova a vivere lo shock della malattia inaspettata e la paura per il proprio futuro e per quello del proprio bambino. In tali situazioni lo stress può raggiungere livelli particolarmente elevati e prolungati del tempo e ciò può interferire in maniera significativa nella costruzione della relazione genitore-bambino con profonde ripercussioni sullo sviluppo futuro del bambino e sul benessere della famiglia stessa.

Non esistono famiglie che non abbiano provato alcuna difficolta? e disagio in relazione all’arrivo di una diagnosi di malattia o disabilita? del proprio bambino; è perfettamente normale sentirsi preoccupati per il bambino e per la sua salute, aver timore di ciò che potrebbe riservare il futuro e la malattia del proprio bambino, è normale, inoltre, sentirsi stanchi per il tipo di cure che il bambino necessita in relazione alla sua specifica malattia. Nessuno di questi stati d’animo sono indicativi di un’incapacità di essere un buon supporto per il proprio bambino, è perfettamente normale vivere stati emotivi differenti e spesso contraddittori.

Da anni è stato appurato che, in seguito alla comunicazione della diagnosi di disabilita? di un bambino, le famiglie attraversino una serie di fasi caratterizzate da reazioni emotive differenti e da conseguenti modi di agire e affrontare la situazione.

La prima fase è caratterizzata da shock, stordimento, incredulità e disorientamento. Questo stato genera un senso di impotenza e di confusione che non consente ai genitori di svolgere le normali attività quotidiane, di comprendere ciò che sta loro accadendo, le indicazioni e spiegazioni mediche e quali siano i reali bisogni del proprio bambino.

La seconda fase è caratterizzata dalla negazione del problema, il genitore infatti rifiuta la diagnosi ricevuta e ricerca disperatamente svariati consulti nella speranza di trovare un professionista in grado di disconfermare la diagnosi del figlio. Questa ricerca spasmodica può essere considerata il riflesso del bisogno di riparazione per una malattia di cui il genitore si sente responsabile. Questi atteggiamenti se protratti nel tempo sono dannosi in quanto non consentono al genitore di misurarsi con la realtà della malattia e di conseguenza viene meno la sua capacità di impegnarsi a trovare le soluzioni relazionali e terapeutiche maggiormente adattative per lo sviluppo del bambino.

Nella terza fase si assiste ad un alternanza di emozioni. Da un lato il genitore sperimenta rabbia e collera, che il più delle volte proietta all’esterno, non di rado questo astio viene riversato su medici, partner, sui propri genitori e a volte anche sui propri figli. Dall’altro lato il genitore prova un profondo senso di vergogna e di colpa. Molte famiglie non riuscendo a superare il trauma rimangono bloccate in questa fase, restano come in un limbo in balia delle emozioni in attesa di una diagnosi differente o di una “cura miracolosa”.

Altre famiglie invece, dopo aver attraversato una fase depressiva, riescono infine a prendere consapevolezza della reale condizione del proprio bambino, questo indica che queste famiglie sono giunte alla quarta fase, l’ultima fase che ha come esito l’adattamento alla realtà e l’accettazione, seppur dolorosa della malattia o disabilita? del figlio. Il genitore oltre a prendere consapevolezza dei limiti del proprio bambino, riesce finalmente a comprendere le possibili risorse legate alla malattia del figlio. Si giunge finalmente all’accettazione del problema e all’elaborazione di un nuovo progetto di vita sia per sè che per il proprio bambino.

Tale processo non è un percorso lineare anzi è caratterizzato da un alternanza e sovrapposizione continua tra stati emotivi e sentimenti differenti rispetto al sè, alla situazione, al figlio e agli altri soggetti significativi in questo percorso. Non tutti i genitori riescono da soli a superare tutte le fasi e giungere all’accettazione della diagnosi, questo perché l’acquisizione di consapevolezza circa la condizione del proprio bambino è un percorso tortuoso pieno di insidie che riflette i normali “alti e bassi” della vita. Inevitabilmente il bambino durante il suo sviluppo farà progressi ma ci saranno anche periodi di regressione e insieme ad essi momenti di sollievo si alterneranno a numerosi momenti di sconforto per il genitore.

La non accettazione della disabilita? del proprio bambino può favorire inconsapevolmente la messa in atto di condotte dannose per il corretto sviluppo del bambino. In alcuni casi il genitore rifiuta la condizione del bambino, la minimizza e di conseguenza trascura i bisogni del bambino non aderendo al protocollo di trattamento indicato per il bambino; al contrario, in altri casi sono presenti ipercoinvolgimento e iperprotezione che portano ad isolare il bambino in un guscio protettivo, quest’ultimo pero? limita il bambino non consentendogli di sviluppare la propria autonomia nelle diverse aree di sviluppo. Infine, un’altra reazione possibile è l’iperstimolazione. Il genitore in questo caso sollecita e sprona il bambino in maniera eccessiva prima che sia pronto. Il genitore non solo non è in grado di definire il livello attuale dello sviluppo del suo bambino ma non è neanche in grado di determinare quale sia il suo livello potenziale e ciò porta il genitore a spingere il bambino verso apprendimenti non ancora adeguati al suo grado di sviluppo ottenendo ovviamente un esito negativo, non solo nell’ambito dell’apprendimento ma anche nel senso di autoefficacia e nel livello di autostima del bambino.

Affrontare una diagnosi di disabilita? di un figlio non è mai un percorso facile ma è una sfida possibile.
Affidarsi a dei professionisti in grado di fornire supporto ed uno spazio protetto in cui essere accolti e aiutati ad elaborare le emozioni può fare la differenza.

L’accettazione, pur non cambiando nulla della realtà stessa, può aiutare ad affrontare nel modo più sano ed efficace le diverse condizioni relative alla disabilità del bambino in quanto permette al genitore di elaborare un nuovo progetto di vita che tenga conto sia delle difficolta? che delle risorse derivanti dall’avere un bambino con una disabilità.

Intraprendere un percorso psicologico può aiutare il genitore a:
– tornare a vivere la propria vita a prescindere da quanto essa sia stata modificata e sconvolta
– acquisire consapevolezza sui reali bisogni del proprio bambino
– apprendere le possibili modalità con cui è possibile supportare il proprio bambino tenendo conto delle sue potenzialità e caratteristiche
– imparare a gestire lo stress e i momenti difficili che inevitabilmente la famiglia si troverà a dover affrontare.

Bibliografia di riferimento:
Lecciso F., Petrocchi S., (2012) Il figlio nella mente della madre. Strumenti di analisi della relazione e della reazione alla diagnosi in caso di malattia cronica infantile. Roma: Aracne Editore.

Aprile Francesca – Dott.ssa in Psicologia

Condividi

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. Cinzia

    L' articolo è interessante e molto bello, affronta un tema molto delicato, quale la disabilità di un figlio. Una situazione difficile sia per i genitori sia per il bambino che si sente differente rispetto al resto della società.

  2. Ga

    Ho avuto una zia con sindrome di Down.. ora non c'è più. E' ed è stata una delle presenze più belle nella nostra famiglia. Ma nessuno scrive che potrebbe essere una opportunità per renderci migliori? tutti migliori.. Trovo che la ricerca della perfezione stia generando mostri egogentrici. Poi si seguono le paraolimpiadi.. mi sembra che siamo parecchio falsi. Ci vorrebbe una preparazione positiva all'accogliere un bimbo disabile, specialmente disabile. con amore.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Vuoi ricevere i nuovi articoli via Mail?

Iscriviti alla nostra Newsletter e ogni mese riceverai una mail con i nuovi articoli pubblicati.

Altro da scoprire

Adulti
Dott.ssa Marialaura Puce

ADULTO CON ADHD E SCARSA AUTOSTIMA

Soggetti con ADHD sono particolarmente esposti, in conseguenza del loro peculiare disfunzionamento, a un nutrito numero di fallimenti e pertanto a un aumentato rischio

Adulti
Dott.ssa Claudia Carabotta

ADHD e Disturbi di Personalità

I disturbi di personalità sono caratterizzati da manifestazioni disadattative e disfunzionali nel modo di percepire, sentire e pensare sé stessi e gli altri. Si

Un Centro di eccellenza

Con sedi cliniche a Galatina e Casarano e professionisti partner su tutto il territorio nazionale, il Centro è un autentico polo di riferimento nel Sud Italia nell’ambito della psicoterapia, della neuropsicologia e delle neuroscienze cliniche integrate.