“I fatti gravi stanno fuori dal tempo, sia perché in essi il passato immediato rimane come scisso dal futuro, sia perché le parti che li formarono non paiono consecutive.”
J.L. Borges
Cosa significa dissociazione?
Per poter definire la dissociazione è utile partire dal suo contrario: l’integrazione, ovvero l’organizzazione dei differenti aspetti della nostra personalità all’interno di un’unità che percepiamo soggettivamente come coesa. Grazie all’integrazione abbiamo un senso stabile su “chi siamo”, su quali sono i nostri modi tipici di pensare, sentire e agire e quindi su quella che è la nostra personalità. L’integrazione in questo senso ci permette di narrare la nostra storia, generando un senso di continuità che sta alla base della nostra identità (integrazione diacronica). Vi è poi un’integrazione che si realizza nel momento in cui ci ritroviamo ad avere contemporaneamente punti di vista contrastanti o conflittuali rispetto a uno stesso oggetto: riuscire a sviluppare un punto di vista sovraordinato è ciò che ci permette di mettere insieme, sintetizzare, ordinare e agire in linea con quanto emerso, senza rinunciare a un senso di coerenza interna (integrazione sincronica).
La difficoltà di integrazione mette in crisi proprio il senso di “chi siamo”, se ci riferiamo alla dimensione diacronica, oppure di “cosa vogliamo” in un dato momento, se ci riferiamo alla dimensione sincronica. Si tratta di esperienze che tutti noi possiamo sperimentare in maniera transitoria: basti pensare agli interrogativi suscitati dai grandi cambiamenti della nostra vita (la fine di un percorso di studi, un matrimonio, un lutto, una nascita, la fine di una relazione) che possono far vacillare il nostro senso di identità e che spesso ci impongono una riorganizzazione, un riadattamento. Oppure potremmo ritrovarci a essere molto confusi su una decisione da prendere e ciò potrebbe generare una temporanea paralisi dell’azione o un’incongruenza del comportamento, poiché guidato da scopi contrastanti contemporaneamente attivi in un dato momento.
Quando la capacità integrativa appare cronicamente compromessa significa che non vi è un senso stabile su “chi siamo” né su “cosa vogliamo”: si sperimenta, dunque, una frammentazione della propria identità, dove una parte vive un’esperienza e un’altra parte no. In questi casi possono infatti essere presenti ricordi, pensieri, emozioni, comportamenti che vengono vissuti come strani, non propri, come se appartenessero a un’altra persona. Vi sono quindi diversi sensi di sé che convivono in un’unica persona, che prendono il nome di parti dissociative della personalità.
La dissociazione consiste quindi nell’esperienza di mancata integrazione dei diversi sensi di sé, che continuano a essere divisi senza giungere a un’unitarietà. Queste parti non sono quindi sufficientemente collegate tra loro e quindi ognuna non ha piena consapevolezza dell’altra.
Quando si realizza la dissociazione cronica?
Solitamente la dissociazione ha luogo quando un individuo vive un’esperienza di inermità di fronte a un evento che viene definito traumatico. Pur essendo stata a lungo considerata una forma di difesa, attualmente la dissociazione viene definita come il risultato del trauma stesso: l’esperienza traumatica è così soverchiante da non riuscire a essere integrata nella propria storia. Secondo la Teoria della Dissociazione Strutturale in questi casi alcune parti della personalità vengono dissociate, restando “bloccate” nel tempo del trauma (Personalità Emotive – EP). Un’altra parte, chiamata Personalità Apparentemente Normale (ANP), invece, permette all’individuo di funzionare nella vita quotidiana e in tal senso il meccanismo di difesa consisterebbe proprio nell’evitamento di tutti gli stimoli, le emozioni o più in generale le esperienze che potrebbero far riemergere il caos dissociativo delle parti non integrate. Secondo questa teoria vi possono essere diverse forme di dissociazione:
1) dissociazione strutturale primaria, in cui la personalità si divide in una ANP e in una EP e ciò generalmente avviene a seguito di un singolo trauma (come accade per esempio in alcuni casi di Disturbo da Stress Post-Traumatico – PTSD);
2) dissociazione strutturale secondaria, in cui la personalità si divide in una ANP e in due o più EP e questo solitamente accade in casi di traumi più gravi e prolungati (come accade per esempio in alcuni casi di Disturbo da Stress Post-Traumatico complesso – PTSDc o di Disturbo Borderline di Personalità – DBP);
3) dissociazione strutturale terziaria, in cui sia la ANP che la EP sono divise in più di due parti e questo può succedere in casi di esperienze traumatiche ancora più gravi, complesse e soverchianti (come accade per esempio in alcuni casi di Disturbo Dissociativo dell’Identità – DDI).
Quale funzione svolgono le parti della personalità?
Come anticipato, le ANP si occupano del funzionamento della persona nella vita quotidiana e generalmente costituiscono la parte più grande della personalità. Le ANP cercano di evitare le altre parti così come determinate situazioni che possono essere considerate collegate al trauma. Le EP restano “bloccate” nel tempo del trauma e sperimentano la sensazione di star subendo gli eventi traumatici o il timore che stiano per verificarsi ancora e alcune volte mettono in atto dei comportamenti che non risultano adeguati al momento presente. Alcune volte le EP possono assumere il controllo esecutivo (come per esempio in alcuni casi di DDI) e molto frequentemente le EP, pur non prendendo il controllo influenzano le ANP, attraverso sintomi intrusivi. Le EP possono svolgere diverse funzioni: esprimere bisogni e desideri che la ANP trova ripugnanti, prendersi cura delle altre parti dissociative, imitare chi ha fatto loro del male (maltrattando a loro volta le altre parti dissociative), lottare contro una minaccia o provare vergogna per quanto subìto. Queste parti, così diverse tra loro, hanno tutte delle buone ragioni per esistere poiché in origine si sono sviluppate per proteggere l’individuo, ma è molto frequente che siano in conflitto tra loro o che si evitino tra loro, causando un grande dispendio di energie.
Quali sono i sintomi della dissociazione?
Chi ha un disturbo dissociativo solitamente arriva all’attenzione di uno professionista per problematiche non legate espressamente al proprio senso di identità, ma per difficoltà relative all’umore, all’ansia, al sonno, alle relazioni. Approfondendo questi sintomi emerge, tuttavia, come vengano rifiutati dall’individuo poiché considerati manifestazioni appartenenti ad altre parti della propria personalità. Tra i principali sintomi dissociativi emergono il “sentire troppo” e il “sentire troppo poco”.
Il “sentire troppo” implica un eccesso di qualcosa e si riferisce in particolare a sintomi intrusivi, come i flashbacks degli eventi traumatici del passato; emozioni, pensieri, impulsi o comportamenti che compaiono improvvisamente e senza un apparente motivo; dolori o sensazioni fisiche non spiegate da una causa medica; presenza di voci sullo sfondo che commentano quello che sta accadendo; esperienze interne estranee. In questi casi l’esperienza dell’EP invade quella dell’ANP, che diventa così temporaneamente e parzialmente consapevole di ciò che quella parte sta vivendo e ciò può dipendere sia dalle circostanze contingenti che dal livello di stress sperimentato.
Il “sentire troppo poco”, invece, implica l’assenza di qualcosa che dovrebbe esserci: ne sono esempi la perdita di memoria (amnesia dissociativa) o di un’abilità. In altri casi si può sperimentare l’incapacità di provare un’emozione o di non sentire una parte del proprio corpo (intorpidimento). Tutti questi esempi si riferiscono a perdite temporanee e “apparenti” e sono dovute all’attività di altre parti della personalità: se per esempio un individuo sperimenta un’incapacità nel condurre un veicolo è possibile che un EP abbia in quel momento il controllo della situazione e che le abilità di guida siano a disposizione di un’altra parte. Il “sentire troppo” e il “sentire troppo poco” possono quindi coesistere nello stesso momento poiché mentre una parte si trova a sperimentare “troppo” un’altra potrebbe sperimentare “troppo poco”.
Come intervenire?
Quando si ha il sospetto di avere un disturbo dissociativo è opportuno rivolgersi a un professionista, il quale, dopo un’attenta diagnosi potrà proporre al paziente un percorso di stabilizzazione, riconoscimento e accettazione delle proprie parti, finalizzato alla collaborazione e all’integrazione tra le stesse: soltanto attraverso questo processo di sintesi, che spesso può rivelarsi lungo e difficile, è possibile sperimentare un senso di sé unitario e coerente.
Bibliografia
Boon S., Steele K., van Der Hart O. (2013). La dissociazione traumatica. Comprenderla e affrontarla. Milano: Mimesis Edizioni.
Borges J.L. (1949). L’Aleph. Tr. it. Feltrinelli, Milano 1952, p. 61.
Carcione A., Nicolò G., Semerari A. (a cura di) (2016). Curare i casi complessi. La terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità. Roma-Bari: Laterza.
van der Hart O., Nijenhuis E.R.S., Steele K. (2011). Fantasmi nel sé. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale. Milano: Raffaello Cortina.