Piacevolmente colpiti dal numero di domande ricevute in questi giorni, abbiamo scelto di dare spazio ad un quesito che ripropone un tema molto noto, quello dell’ansia per la salute, chiamato in passato ipocondria, rivisitato in chiave moderna e tecnologica: la cybercondria.
L’ansia da malattia è caratterizzata dalla paura e dalla preoccupazione di avere un problema di salute a causa di un’interpretazione erronea o da un’enfatizzazione esagerata di sintomi fisici comuni. Tutti noi, di tanto in tanto, abbiamo sofferto di apprensione circa la nostra condizione fisica, e per molti versi, questo comportamento è sano e adattivo.
Tuttavia, quando i timori diventano così intensi e costanti da rappresentare un pensiero ingombrante nella mente della persona, possono causare disagio, pensieri negativi e una compromissione nel funzionamento sociale, lavorativo o interpersonale.
L’ipocondria, così come viene per lo più chiamata, ha assunto un originale aspetto, adattandosi ai tempi tecnologici che corrono: la cybercondria, ovvero l’ansia per la salute alimentata dal web.
Il termine è un neologismo ottenuto dall’associazione di cyber e ipocondria. Indica la tendenza a ricercare insistentemente on line informazioni mediche, il che comporta un incremento di ansia per la propria salute. La ricerca svolge inizialmente una funzione confortante ma illusoria, perché è solo a breve termine, infatti, a lungo andare può diventare un’abitudine disfunzionale e aumentare i livelli di ansia, soprattutto in persone che già ne soffrono.
Come si genera il circolo delle ricerche improduttive on line?
Quante volte ci è capitato di percepire un fastidio, un dolore, magari un semplice mal di testa o un lieve rossore sulla pelle, segni innocui per i quali non sembra necessario ricorrere immediatamente al medico di base o ad una visita specialistica. Ecco allora che può sembrare più efficace effettuare in autonomia una ricerca on line e cercare opinioni, ipotesi, esperienze comuni di chi ha avvertito lo stesso “sintomo”. L’ indagine però il più delle volte ci conduce molto lontano, paventando diagnosi infauste e aumentando la preoccupazione e l’ansia connessa.
Se fino a poco tempo fa rivolgersi al proprio medico era l’unica strada da intraprendere per chi avvertisse la necessità di consulenze o indicazioni sulla salute, oggi internet e i social media hanno trasformato il modo in cui le persone cercano informazioni sulla propria condizione fisica e su quella dei propri familiari.
La ricerca sul web comporta spesso che gli utenti si imbattano in risposte a quesiti medici e autodiagnosi veloci, il più delle volte errate o quanto meno approssimative.
La distanza tra pagine ben gestite da operatori sanitari che rispondono in scienza e coscienza alle domande degli utenti e blog di esperienze personali disparate o consigli pseudo sanitari di dubbia scientificità, a volte è solo di un click. Alcuni di noi cercano di orientarsi sui vari problemi di salute consultando Google, Facebook, Twitter, Instagram e TikTok, spesso approdando su pagine gestite da utenti che non svolgono una professione medica.
Cosa comporta la ricerca di segni e sintomi di malattia on line?
Confusione, incertezza, diffidenza, stupore fino ad arrivare ad angoscia e panico, soprattutto laddove l’esito della nostra ricerca conducesse ad un’autodiagnosi infausta.
Non c’è dubbio che la pandemia abbia giocato un ruolo importante nel ricorso al Dottor Google nell’ultimo periodo: da un lato ha aumentato il tempo di navigazione e l’abitudine a ricorrere a internet per ottenere risposte, trovare soluzioni e derimere dubbi, dall’altro l’incertezza associata al COVID – 19, una nuova malattia per la quale il mondo era decisamente impreparato, ha contribuito ad alimentare la ricerca spasmodica di informazioni.
Con la crescita dei click degli utenti, è anche aumentata la disponibilità dei contenuti fruibili, ma questo non è sempre un bene. Infatti, la considerevole mole di informazioni, soprattutto di tipo sanitario, ha creato un gap tra notizie attendibili, utili e comunicazioni inesatte, ingannevoli, non verificate né verificabili, spesso foriere di angoscia e paura.
Il flusso di informazioni è stato talmente tanto difficile da contenere che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ritenuto indispensabile adottare un nuovo piano strategico per veicolare le informazioni al fine di tutelare la popolazione da un imminente sovraccarico cognitivo ed emotivo.
Cosa si può fare per disinnescare la ricerca compulsiva di risposte a quesiti medici?
La soluzione non è l’evitamento totale del web, infatti le fonti verificate e attendibili rappresentano una buona fonte di informazione, inducendo anche alla prevenzione o alla sensibilizzazione, soprattutto rispetto alle tematiche sulla salute psicologica. Quello che sembra opportuno è un uso consapevole e attento del web, cercare di mantenere sempre il focus sulla differenza tra divulgazione, autodiagnosi e aiuto specialistico, privilegiando quest’ultimo laddove sia necessario. Quando la ricerca compulsiva e l’ansia ad essa associata diventano difficili da gestire è importante prendere in considerazione l’idea di rivolgersi ad uno specialista della salute mentale.