Rubin, Bukowski e Parker (1998) descrivono la competenza sociale come la capacità di raggiungere i propri obiettivi nelle interazioni sociali, mantenendo buone relazioni con gli altri.
Rientrano in tale dominio, ad esempio, la capacità di negoziazione, di cooperazione e di gestione dei conflitti. L’acquisizione di una buona competenza sociale e l’apprendimento di specifiche abilità socio-relazionali nei bambini sono presupposti fondamentali per la formazione di relazioni efficaci e funzionali con i pari e con gli adulti.
Dall’infanzia all’adolescenza, però, le relazioni tendono a farsi sempre più complesse, e di conseguenza uno dei compiti più difficili che ogni bambino deve affrontare è proprio il sapersi relazionare con i coetanei. Un bambino, per avere una buona competenza sociale, dovrebbe innanzitutto essere capace di riconoscere e comprendere le emozioni proprie e quelle degli altri e trasmettere messaggi corretti, in modo da essere chiaramente compreso, e nel contempo dovrebbe essere abile anche a leggere i messaggi di altre persone e a interpretarli (Salviato, Mammarella & Cornoldi, 2020).
Notevole importanza, quindi, assumono le variabili di natura emozionale che intervengono nei rapporti interpersonali. Spesso infatti è proprio l’interferenza di forti emozioni a rendere difficile per i bambini la messa in atto di comportamenti sociali adattivi nel contesto relazionale. Altre volte invece, le difficoltà socio-relazionali sono dovute alla presenza nei bambini di specifici disturbi del neurosviluppo che ostacolano l’acquisizione di una buona competenza sociale. A tal riguardo, numerose ricerche (Klin, Volkmar & Sparrow, 2000; Rourke, 1989; Semrud-Clikeman & Hynd, 1990) suggeriscono che un importante gruppo di bambini, che risulta competente in alcuni domini, può avere problemi nella competenza sociale perché ha difficoltà nell’assumere punti di vista diversi dal proprio, nel leggere le emozioni degli altri, oppure nelle capacità di decifrare i segnali non verbali nelle interazioni sociali, come le espressioni del volto, l’intonazione della voce e i gesti.
In modo particolare, questo gruppo include i bambini con Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD). Il Disturbo dello Spettro Autistico in Italia colpisce 1 bambino su 100, in prevalenza nella popolazione maschile rispetto a quella femminile, secondo un rapporto di 4:1 e le numerose manifestazioni del disturbo variano ampiamente a seconda del livello di sviluppo e dell’età cronologica del bambino (Salviato, Mammarella & Cornoldi, 2020).
Nello specifico, il DSM-5 (APA, 2013) identifica i due principali ambiti all’interno dei quali ricercare i segni e i sintomi del disturbo: il primo riguarda la presenza di deficit nella comunicazione e nell’interazione sociale, come ad esempio, assenza di reciprocità emotiva, deterioramento nell’uso di comportamenti non verbali, difficoltà nello sviluppare o mantenere amicizie, assenza di condivisione di esperienze; il secondo ambito riguarda la presenza di attività stereotipate e interessi ristretti.
Inoltre, questi bambini presentano scarsa empatia e notevoli difficoltà a regolare le proprie emozioni (Baron-Cohen & Wheelwright, 2004). Di conseguenza, i bambini autistici sembrano avere importanti difficoltà con tutti gli aspetti che concernono la competenza sociale, inclusi la percezione di segnali sociali e il mettere insieme al contesto ambientale tali segnali e rispondere così in modo appropriato (Salviato, Mammarella & Cornoldi, 2020).
Per tutti questi bambini, quindi, diventa più che mai necessario promuovere l’acquisizione e il potenziamento di specifiche abilità socio-relazionali, e per poter fare ciò, numerosi autori ritengono che l’intervento basato sull’insegnamento strutturato rappresenti la modalità psicoeducativa d’elezione per lo sviluppo di una corretta competenza sociale (McGinnis et al., 1992). In generale, l’intervento prevede che i bambini, dopo aver osservato una persona che funge da modello e che fornisce un esempio del comportamento corretto (Modeling), dovranno cercare di ripetere quanto hanno appena osservato (Role playing). Al termine della loro esecuzione, essi riceveranno un rinforzatore informazionale dai compagni o dagli adulti (Feedback), tramite il quale essi potranno conoscere l’esito delle loro azioni. Infine, vengono assegnate ai bambini delle attività per casa che consistono nella riproduzione di comportamenti appena appresi in altre situazioni di vita quotidiana (Generalizzazione degli apprendimenti).
Nello specifico, tale training psico-educativo è stato implementato su un piccolo gruppo di tre bambini di 11 anni d’età, frequentanti la classe prima della scuola secondaria di Ⅰ grado e caratterizzati tutti da diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico. All’inizio del percorso i bambini presentavano marcate difficoltà di autoregolazione emotivo-comportamentale e attentiva, modalità d’interazione con il gruppo dei pari insufficienti e poco efficaci, bassa tolleranza alla frustrazione e rigidità comportamentale e di pensiero. Obiettivo principale dell’intervento è stato quello di favorire nei bambini il potenziamento delle loro abilità socio-relazionali, come ad esempio imparare a riconoscere le proprie emozioni e quelle altrui in ogni contesto sociale e promuovere la capacità di ascolto empatico. Per far ciò è stato utilizzato uno specifico programma di matrice cognitivo-comportamentale sulle abilità sociali di Salviato, Mammarella e Cornoldi (2020), rivolto a bambini e ragazzi di età scolare (8-14 anni) che presentano bisogni educativi speciali.
Il percorso è stato strutturato in 12 incontri di base della durata di 60’ ciascuno a cadenza settimanale in regime ambulatoriale. Ogni incontro prevedeva momenti di confronto tra i partecipanti, brainstorming, role playing e attività di ascolto di storie in gruppo. Tale intervento di potenziamento delle abilità sociali è stato diviso in due unità, per ogni incontro della prima unità le attività proposte hanno riguardato l’ampliamento del vocabolario emotivo dei bambini attraverso la distinzione tra sensazioni del corpo e sensazioni del cuore e lo sviluppo della loro capacità di riconoscere le emozioni attraverso l’analisi delle diverse espressioni facciali.
Nella seconda unità, invece, le attività proposte hanno riguardato lo sviluppo nei bambini della consapevolezza di se stessi in relazione agli altri, il promuovere la capacità di ascolto empatico e il migliorare la capacità di previsione del comportamento altrui indipendentemente dallo stato reale delle cose.
Al fine di ottenere una valutazione iniziale e finale delle abilità possedute dai bambini prima e dopo il trattamento, sia all’inizio che al termine del training di gruppo, è stata somministrata la Social Skills Checklist contenente l’elenco delle abilità sociali riguardanti le varie attività del programma di potenziamento. I risultati conseguiti dalla compilazione della checklist da ognuno dei partecipanti al training, hanno evidenziato dei miglioramenti in termini di competenza sociale percepita dai tre bambini. Nello specifico, i bambini, che all’inizio del percorso presentavano difficoltà di autoregolazione emotiva e comportamentale, modalità d’interazione con il gruppo dei pari non sempre funzionali e adeguate all’età, bassa tolleranza alla frustrazione e rigidità comportamentale e di pensiero, al termine dell’intervento mostravano modalità d’interazione più adeguate all’età, maggiore attenzione a cogliere e a comprendere le emozioni proprie e altrui e i segnali verbali e non verbali della comunicazione e un atteggiamento più riflessivo e consapevole.
In sintesi, l’intervento effettuato ha sicuramente favorito nei partecipanti lo sviluppo di un adeguata competenza sociale con importanti implicazioni sia a livello educativo sia a livello clinico. Al livello educativo ha permesso la conoscenza tra i bambini e migliorato l’apprendimento di specifiche regole sociali, mentre a livello clinico ha favorito la conoscenza e la consapevolezza delle proprie e altrui emozioni, ha migliorato le forme di comunicazione assertiva e la gestione del conflitto con l’altro prevenendo situazioni di isolamento sociale, favorendo quindi le relazioni dei bambini nei diversi contesti e con le diverse figure di riferimento, come i genitori e i pari.
Dott.ssa Antonella De Marianis
Psicologa clinica
Bibliografia:
APA (2013), DSM-5 Diagnostic and statistical manual of mental disorders Fifth Edition, American Psychiatric Publishing, Washington, DC.
Baron-Cohen S. e Wheelwright S. (2004), The empathy quotient. An investigation of adults with Asperger syndrome or high functioning autism, and normal sex difference, Journal of Autism and Developmental Disorders, vol. 34, n. 2, pp. 163-175.
Klin A., Volkmar F.R. e Sparrow S.S. (2000), Asperger syndrome, New York, Guilford, pp. 1-21.0
McGinnis E., Goldstein A.P., Sprafkin R.P. e Gershaw N.J. (1992), Manuale d’insegnamento delle abilità sociali, Trento, Erickson.
Rourke B.P. (1989), Nonverbal learning disabilities. The syndrome and the model, New York, Guilford.
Rubin K.H., Bukowski W. e Parker J.G. (1998), Interactions, relationship, and group, New York, John Wiley and Sons, pp. 619-700.
Salviato C., Mammarella I.C., Cornoldi C. (2020). Intervento per le difficoltà socio-relazionali, Erickson, Trento.
Semrud-Clikeman M. e Hynd G.W. (1990), Right hemispheric dysfunction in nonverbal learning disabilities, Psychological Bulletin, vol. 107, n. 2, pp. 196-209.