Prognosi infauste e percorsi psicoeducativi nei pazienti con disturbo da deficit di attenzione/iperattività

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«La nostra è sempre più una società complessa e difficile, molte persone rischiano di essere relegate ai margini del contesto civile e democratico, in quanto non in possesso dei requisiti indispensabili per una positiva inclusione e integrazione. Una larga fascia di popolazione con bisogni specifici legati alla disabilità fisica, mentale e sensoriale, o che a causa di condizioni soprattutto esogene rischia di vivere situazioni di marginalità, di disadattamento e di devianza sociale, necessita di attenzioni pedagogiche sempre più qualificate ed in grado di interagire positivamente con le altre scienze per poter proporre percorsi formativi e di vita idonei.» 

Alla luce di quanto si evince dall’incipit di presentazione del mio Corso di Laurea recentemente terminato in “Consulenza Pedagogica per la Disabilità e la Marginalità”, anche l’ADHD è un disturbo che comporta particolari difficoltà alle quali occorre prestare particolare attenzione, al fine di non sfociare verso esiti “devianti” sul piano personale, sociale e relazionale.

Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività o ADHD è un disturbo evolutivo dello sviluppo neurologico. Si tratta di un deficit di autoregolazione i cui sintomi peculiari sono l’inattenzione, l’iperattività e l’impulsività che implicano una scarsa autoregolazione, ovvero la capacità di mettere in atto comportamenti sulla base delle esigenze situazionali o ambientali, di rispetto delle istruzioni, di controllo dell’impulsività e dell’affettività, e dell’attività verbale e motoria, i quali generano dei sintomi inappropriati per l’età sui quali occorre intervenire precocemente.

Già in età prescolare, molto spesso è possibile rintracciare i primi sintomi di ADHD, e soprattutto di iperattività e di impulsività; tuttavia, disturbo diventa maggiormente comprensibile e problematico in età scolare, poiché si verificano un aumento delle complessità dei compiti e la presenza di una serie di nuove regole che devono essere rispettate. L’ADHD, infatti, è una delle prime ipotesi che si fanno quando il comportamento di un bambino in classe o il rendimento scolastico sono particolarmente problematici a causa dell’insufficiente attenzione e delle strategie cognitive deboli non adottate in modo funzionale. Da un punto di vista comportamentale, invece, l’alunno con ADHD, intraprende spesso il processo di scolarizzazione mostrando particolare fatica nell’ adattarsi al contesto: è proprio a partire da queste difficoltà, infatti, che si evidenzia il gap fra il bambino con ADHD ed i suoi compagni. I problemi si ripercuotono anche sulle relazioni interpersonali con i compagni di classe, poiché la condizione relazionale dell’alunno con ADHD risulta spesso caratterizzata da isolamento socio-relazionale a causa della sua scarsa autoregolazione comportamentale.

Tutto ciò può incidere sulla costruzione di una positiva immagine di sé e generare la possibilità di incorrere in diverse forme di disagio come: gli scarsi risultati a scuola (90%), le bocciature (58%), l’abbandono scolastico (30%) e le difficoltà di apprendimento (60%).

Successivamente, durante il periodo adolescenziale, nei ragazzi con ADHD si può osservare una lieve attenuazione della sintomatologia del dominio dell’iperattività, ma si verifica un aumento dei sintomi che hanno a che fare con la disorganizzazione, l’impulsività, e le difficoltà sociali, i quali favoriscono quindi il rischio di incorrere verso problemi come: la sospensione e/o espulsione dalla scuola, le gravidanze adolescenziali, gli incidenti di guida, l’esclusione sociale, lo sviluppo di forme di dipendenza, come la Dipendenza da Uso di Sostanze, la dipendenza da Internet e l’uso patologico dei videogiochi, ma anche di disturbi in comorbilità, come il Disturbo Oppositivo Provocatorio, Disturbi dell’Umore, Disturbi della Condotta.

Per quanto riguarda il passaggio all’età adulta, infine, gli studi documentano la persistenza di problemi comportamentali nel 40-60% dei casi. In particolare, nella transizione verso questa fase, generalmente i sintomi cambiano sia in qualità che in quantità, poiché l’iperattività tende a diminuire, l’impulsività cambia in termini qualitativi, ma la disattenzione e la disorganizzazione diventano più invalidanti. I disturbi più comuni durante questa possono essere di tipo internalizzante, ovvero quei problemi sviluppati all’interno del soggetto come i bassi livelli di autostima, la sensazioni di inadeguatezza, alimentati da pensieri negativi, depressivi ed autodistruttivi, la sensazione di insicurezza, i sentimenti di depressione gli elevati livelli generale di stress e lo sviluppo di altri Disturbi in comorbilità come i Disturbi d’Ansia, Disturbi da attacchi di panico e Disturbo Bipolare, oppure esternalizzante, cioè quelle situazioni in cui il disagio del soggetto si riversa verso l’ambiente come la vendita di droghe illegali, il taccheggio, il furto, aggressioni, trasporto di armi illegali, che porta ad arresto e incarcerazione con più alta percentuale rispetto agli adulti tipici, il Disturbi da Uso di Sostanze, che comprende l’abuso di alcol o altre sostanze, dipendenza da gioco d’azzardo, problemi di guida, lo sviluppo del Binge Eating Disorder (o Disturbo da Alimentazione Incontrollata) e difficoltà relazionali e familiari e occupazionali.

Al fine di prevenire questi comportamenti a rischio, quindi, è necessario favorire interventi sia preventivi, che di promozione: i primi agiscono sui fattori di rischio e di protezione e servono a ridurre la probabilità che si verifichi una complicanza o una problematicità, i secondi servono a sviluppare quelle risorse individuali e quelle potenzialità tali da favorire una condizione di benessere del soggetto. In questa seconda definizione rientra quella che oggi viene definita come “Positive Youth Development” ovvero un modello per promuovere lo sviluppo positivo che sottolinea i punti di forza dei giovani, ma anche la loro plasticità, partendo soprattutto da alcuni punti, resi noti nel modello delle “Cinque C”, ovvero: “Competence”, “Confidence”, “Connection”, “Charachter” e “Caring”.

La “Competence” rappresenta una visione positiva delle proprie azioni; la “Confidence” è la fiducia in sé e nelle proprie capacità fiducia e corrisponde al senso interno di autostima e di autoefficacia; la “Connection” si riferisce alla creazione di reti sociali supportive e di legami positivi con le persone e con le istituzioni; il “Charachter” è un’indicazione del rispetto di un individuo per le regole sociali e culturali e riguarda il senso di responsabilità; infine, la “Caring” fa riferimento al senso di simpatia, di empatia e di comprensione di una persona verso gli altri. In generale, i giovani che presentano una combinazione lineare delle Cinque C e degli alti livelli in ciascuna di esse hanno maggiore probabilità di sperimentare traiettoria di vita sana, hanno meno probabilità di sperimentare comportamento a rischio e quindi vivono un maggiore benessere psicofisico, soprattutto se ad essi si somma un sesto fattore, ovvero quello della “Contribution”, cioè del coinvolgimento attivo nel percorso di crescita della alla famiglia, della scuola, della comunità e di tutti i contesti di riferimento del soggetto.

Quest’approccio riflette la modalità di trattamento che risulta maggiormente auspicabile per la prevenzione dei comportamenti a rischio nei soggetti con ADHD, cioè l’intervento psicoeducativo a matrice cognitivo-comportamentale, rivolto non soltanto al ragazzo, al fine di potenziare i comportamenti maggiormente desiderabili e di ridurre, conseguentemente, quelli problematici, sviluppando le capacità di autocontrollo, l’autostima, le relazioni sociali con i coetanei e con gli adulti e la gestione delle emozioni e della frustrazione, ma anche rivolto ai genitori e agli insegnanti con l’obiettivo di favorire un corretto lavoro di rete che promuova il benessere non soltanto del ragazzo con ADHD, ma anche di tutti i contesti nel quale egli si trova inserito.

In questo modo, infatti, attraverso un approccio psicoeducativo multidimensionale che coinvolge il bambino con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, i genitori e gli insegnanti si riesce a favorire quella che può essere definita come la “promozione integrale della persona”, in un’ottica di globalità, di accompagnamento e di presa in carico a 360° dei giovani pazienti in questa loro delicata fase di crescita, collaborando con loro in una prospettiva non soltanto di prevenzione, ma anche di miglioramento e di promozione della qualità della vita.

 

Francesca Antonica

Laurea Magistrale in “Consulenza pedagogica per la disabilità e la marginalità”

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Questo articolo ha un commento

  1. Mongelli Teresa

    Bravissima e molto profonda l'analisi di questo argomento!!

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