Per un genitore immaginare di dover convivere per tutta la vita con il disturbo autistico del proprio bambino è tutt’altro che semplice. Si parte fin da subito con degli scogli da superare, sembra quasi di essere stati selezionati per partecipare ad una gara ad ostacoli lunga una vita, senza però essere responsabili di questa scelta.
Il disturbo dello spettro dell’autismo, come viene ad oggi definito all’interno dei principali manuali diagnostici a causa della sua alta variabilità, è altamente pervasivo, e si estende dal bambino a tutte le persone che gli sono vicine e che se ne prendono cura. Si tratta di bambini che presentano una compromissione della comunicazione sociale, più o meno inasprita a seconda della gravità del disturbo. Il loro livello di interazione è ridotto ai minimi termini, l’impressione che danno agli altri è quella di vivere in un mondo tutto loro, fatto di mura ben solide difficili da abbattere. Il loro comportamento, così come i loro interessi, sono altamente ristretti e ripetitivi: la loro routine non può subire modifiche, si interessano in maniera estremamente intensa a determinati oggetti o argomenti, tanto da non poterne fare a meno e il loro comportamento fatica ad adattarsi ai diversi contesti sociali. Tutte queste caratteristiche, mescolate ai fattori ambientali e familiari, sono rese esplicite in molteplici modi dai bambini autistici, motivo per il quale ognuno di loro è una sfumatura diversa dello stesso quadro.
Se si prova ad immaginare cosa vuol dire per un genitore non riuscire ad entrare in contatto con il proprio figlio, risultano chiare le ragioni per le quali è difficile anche solo riuscire ad accettare una diagnosi di questo tipo. Il livello di stress emotivo, che dalla diagnosi si propaga lungo tutti i livelli di assistenza che il genitore dovrà ricoprire nel corso degli anni, è molto elevato e abbraccia tutta una serie di necessità che dovranno essere garantite al figlio: un ambiente strutturato, frequenti appuntamenti terapeutici di diversa tipologia e altre strutture di supporto come doposcuola specialistici e servizi educativi di sostegno. Richieste come queste si traducono in un incremento dell’onere finanziario della famiglia, costretta ad affrontare delle spese indispensabili per uno sviluppo armonico del bambino, consapevole del fatto che il disturbo faccia da sfondo permanente alla loro vita.
Oltre a tutto ciò che concretamente subisce una compromissione, vi sono tutta una serie di aspetti che non possono essere trascurati. Rispetto ai genitori di bambini con sviluppo tipico, coloro che si prendono cura di bambini autistici possono sperimentare tassi più elevati di stress, ansia e depressione, i quali, nella maggior parte dei casi, interferiscono indirettamente e direttamente con la relazione coniugale, a discapito dell’armonia e dell’equilibrio della coppia. Entrambi i genitori vengono pervasi dall’angoscia rispetto a come potrà essere il futuro del proprio bambino, a quali sfide non sarà in grado di affrontare, ai momenti in cui non si sentirà abbastanza oppure loro stessi non sentiranno di essere stati all’altezza delle sue necessità: è qui, proprio dal punto in cui partono tutti questi interrogativi esistenziali, che dimora il nodo dal quale irradia tutto il loro dolore e la loro preoccupazione.
Molto spesso accade che i genitori non riescano neppure ad avvertire la necessità di avere un proprio spazio, di avere tempo anche solo per la propria auto-cura, tempo da dedicare a loro stessi e al benessere della coppia, perché sono troppo concentrati e impegnati a far sì che il proprio bambino non cresca con l’impressione di essere, in qualche modo, “diverso” dagli altri.
Lo stigma sociale che ruota attorno a questo disturbo non è affatto di poco conto. I genitori si trovano spesso in circostanze sociali nelle quali devono fare i conti con sguardi giudicanti, commenti poco sensibili ed esclusione sociale, il tutto corollato da una scarsa, scarsissima, dose di empatia. Tutti questi comportamenti e atteggiamenti sociali trovano ancora più spazio di movimento davanti a disturbi come quello dello spettro dell’autismo, soprattutto in virtù del fatto che, comunemente, i bambini autistici non mostrano difetti fisicamente evidenti. Questo aspetto, spesso unito ad una mancata conoscenza del disturbo e delle sue caratteristiche principali, porta, con larga probabilità, a fraintendimenti o misinterpretazioni del comportamento del bambino, il quale, nel suo mondo blindato, sta vivendo quella stessa situazione in un modo che soltanto lui è capace di comprendere davvero.
A causa della risposta sociale che i genitori, in molti casi, sono costretti a subire, accade spesso che essi mettano in atto un ritiro sociale, quasi come a voler replicare la stessa condizione vissuta dal figlio: se nessuno può capirlo, cercherò di essere io abbastanza. L’imbarazzo, la vergogna, il risentimento, l’ansia sociale sembrano bastare come motivazioni di isolamento, come punti di partenza verso la perdita del supporto sociale del quale, invece, avrebbero estremo bisogno.
Anticipare, o temere, la prospettiva dello stigma può portare i genitori ad evitare le situazioni sociali, dando di conseguenza meno opportunità ai loro figli e a loro stessi di interagire in modo positivo e costruttivo con gli altri. Se il ritiro non è la strada giusta, esso è comunque giustificato dalla percezione che hanno i genitori, caratterizzata da una mancanza di comprensione e di sostegno, a volte anche da parte della propria famiglia e degli amici. Il supporto sociale dovrebbe essere alla base dei vissuti di queste famiglie, altamente provate dagli stereotipi, dalla discriminazione e dalle idee sbagliate che la società, ancora ad oggi, possiede rispetto all’autismo.
È basilare, ai fini di una buona qualità di vita, che i genitori riescano a trovare supporto nella famiglia, nella scuola, negli amici, nei servizi educativi e nei terapeuti, ai quali dovrebbero essere sempre sicuri di potersi rivolgere. Sarebbe di estrema utilità lavorare con loro sulla capacità di reagire allo stress attraverso attività di potenziamento della resistenza e resilienza, aiutandoli ad implementare strategie centrate sul problema, attraverso una psicoeducazione sul disturbo, per comprendere davvero cos’è e come far fiorire le potenzialità di questi bambini attraverso il loro peculiare funzionamento. I genitori dovrebbero ricevere, il più presto possibile, informazioni dettagliate sul disturbo, in modo tale da avere fin da subito gli strumenti giusti per accompagnare lo sviluppo del proprio bambino, per scoprire cosa trova interessante, cosa suscita in lui emozione, cosa lo fa sentire vivo e imparare ad ascoltare i suoi silenzi, dandogli una mano a comprendere le parole. Il bambino autistico comunica in una maniera speciale, tutta sua, per questo esistono moltissimi modi per entrarci in contatto, basta solo riuscire a comprenderli.
È essenziale che i genitori, così come anche fratelli, nonni e zii, vengano coinvolti attivamente all’interno dei programmi educativi e terapeutici, in modo tale da sentirsi sempre più in grado di affrontare le difficoltà della vita. Lavorare su tutti questi aspetti permette alla famiglia di automatizzarsi sempre di più nella gestione del disturbo, facendo in modo che quest’ultimo rappresenti un valore aggiunto del nucleo familiare e non un impedimento o una causa di arresa.
Non bisogna continuare a vivere non sapendo come comunicare con il proprio bambino, non riuscendo a trovare il modo di incontrarlo, ma rispettare la sua realtà, accettandola, proteggendola senza mai giustificarla quando non è opportuno. Sembrano sfide troppo ardue, difficili da affrontare e anche solo da pensare, ma niente è troppo complicato per chi impara a conoscerlo. Il disturbo non può e non deve, in nessun modo, essere motivo di rinuncia, perché nessun disturbo sarà mai grande a tal punto da frenare i passi svelti di un bambino che corre verso il suo futuro.
Questa è la vera essenza dell’essere genitori di un bambino autistico: imparare a guardarli come “bambini” e non come “bambini autistici”, scoprire i loro punti di forza, capire che diverso non è sinonimo di sbagliato e che le parole possono fare rumore anche quando non vengono pronunciate. Provare ad entrare nel loro mondo, ma in punta di piedi.
Concludo con le parole di questa mamma, che riassumono pienamente tutto quanto:
“Essere genitori di un bambino autistico vuol dire non smettere mai di imparare
e di essere educato alla gestione della diversità.
I bambini autistici vanno considerati prima di tutto bambini
che hanno le loro esigenze, le loro peculiarità,
il loro modo di relazionarsi e di comunicare;
l’autismo non deve essere un alibi dietro al quale trincerarsi”
Emanuela, mamma di Niccolò, un bambino autistico.
Ilaria Potenza
Dott.ssa in Psicologia Clinica dello Sviluppo
Bibliografia
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Avrei un milione di cose da scrivere ma vi lascio solo un saluto. Ciao e grazie