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Un nuovo sms ricevuto, lo apro “Ciao Alberto, anche se ci siamo visti di sfuggita volevo solo avvisarti, per precauzione, che sono risultato positivo al coronavirus. A presto, Luca”.

PANICO: Luca è positivo. Quando l’ho visto? Solo cinque giorni fa.

Le mie gambe diventano esageratamente pesanti, il mio cuore batte all’impazzata, sto sudando, provo a rievocare esattamente tutti i dettagli dell’incontro con lui. “Avevo la mascherina?” Certo! La indosso sempre: fp2 per essere più sicuro. “Ma ne sono così certo? Se per caso l’avessi tolta? Sarebbe imperdonabile! Ero abbastanza distante? Un metro? Due metri? Non riesco a ricordare. Sento l’ansia aumentare, come per magia inizio a sentire tutti i sintomi fisici elencati per mesi nei TG: avverto un fastidioso bruciore alla gola, mal di testa, misuro la temperatura corporea compulsivamente: 37.2., 36,8.

Sto esagerando, questa è ansia, non COVID. Adesso provo a calmarmi e a ragionare. Sono pensieri irrazionali. Respiro lentamente, metto in atto le tecniche di rilassamento che ho appreso in questi anni. Sembrano funzionare.

Toc toc, un altro pensiero. “Oddio quanti alunni potrei aver contagiato?” “Sono stato un irresponsabile!” “Non me lo perdonerò mai” “come se i bambini non fossero già abbastanza turbati, rovinerò anche il loro Natale”, io sono il loro maestro, avrei dovuto dare l’esempio”. Inizio ad avvertire un tremore alle mani, cerco su Internet “sintomi coronavirus”, poi ancora “cosa fare se si entra in contatto con un positivo”.

Butto giù mentalmente una lista di persone che potrei aver visto nelle ultime 72 ore: sono tantissime: colleghi, bambini, personale scolastico.

COLPA

Immagino i loro volti, mi daranno giustamente la colpa. Hanno ragione, sono colpevole. Avrei dovuto essere più attento. Come è potuto succedere? Sento le parole dei genitori “Il maestro ha rovinato le nostre festività”, immagino la paura nei loro occhi.

DUBBIO

“Ho rispettato fedelmente il protocollo?”, “Ho sfiorato qualcuno di loro?” “Non riesco a ricordarlo”. “Ho igienizzato le mani dopo aver incontrato il mio amico?” la mia testa è sul punto di esplodere, scoppio in un pianto disperato. “Se qualcuno dei bambini avesse degli ammalati in casa? Se dovessero essere positivi? Se i loro genitori non potessero più andare al lavoro?” la catena di se mi attanaglia… un pensiero tira l’altro, sempre più catastrofico. Quando iniziano questi pensieri mi portano lontano, non so dove sarei in grado di arrivare o forse si, lo scenario è sempre il peggiore: Luca mi ha contagiato e io ho contagiato gli altri. Sono stato superficiale. So che dovrei fermarmi ma non ci riesco, ho troppa PAURA.

Chiamo la mia amica Giada, lei è un medico, sa cosa fare in questi casi: “Ma Alberto, stai tranquillo. So quanto sei attento e scrupoloso, conoscendoti, avrai igienizzato anche la carta.” Ride.

La conosco, non mi sta deridendo. Sta ridendo, ma le sue parole sono un macigno: “So quanto sei attento” … attenzione è questo che gli altri si aspettano da me … scrupolosità.

“ Tu, piuttosto come stai, hai sintomi?” IO? Non ci avevo pensato. Nemmeno per un attimo ho pensato che avrei potuto sviluppare dei sintomi, forse anche gravi. Non mi importa di me, solo del danno che potrei arrecare agli altri.

Marialaura Puce e Silvia Rosafio

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